Si è trasformata in una guerriglia urbana (e politica) la vicenda del terrorista greco Dimitri Koufondinas, in sciopero della fame (e in terapia intensiva) per protestare contro la decisione del governo di riportarlo al carcere duro dal penitenziario agricolo di Volos. L’uomo, condannato a 11 ergastoli, è stato capo della brigata 17 novembre, e da tre settimane è in sciopero della fame e della sete. Una condizione che lo ha portato a un passo dalla morte, mentre gli anarchici che si riconoscono alle sue battaglie contro Usa, Nato e Ue mettono a ferro e fuoco le strade di Atene. Un agente di 27 anni è stato gravemente ferito con colpi di mazze in occasione di una manifestazione di protesta a Nea Smirni.
Al momento Koufondinas è ricoverato presso l’ospedale di Lamia, nella Grecia centrale. Due anni fa sotto il governo targato Tsipras era stato trasferito in una prigione più leggera, provocando la protesta dei familiari delle vittime. Il suo avvocato chiede che lo stato di diritto venga rispettato e avverte che se ciò non accadrà ci saranno “condizioni che minacciano la pace e la coesione sociale”, come dimostrano le quotidiane sommosse degli anarchici nella zona ateniese di Zografou, con una vera e propria guerriglia urbana condotta a colpi di molotov da incappucciati contro gli agenti di polizia della capitale ellenica.
Koufondinas è stato accusato di 200 reati in vari processi e condannato a 11 ergastoli per la sua partecipazione a un totale di undici omicidi, oltre a vari attentati e rapine. La prima vittima fu il 23 dicembre 1975, il capo della stazione Cia ad Atene, Richard Welch, freddato sull’uscio della sua abitazione davanti alla moglie e all’autista, passando per vari attacchi missilistici contro una sede della British Petroleum e contro gli uffici ateniesi della Siemens.
La questione sta infiammando il dibattito politico e sociale. L’ex premier Alexis Tsipras ha chiesto al governo di cambiare posizione, in modo che “il filo della vita di Koufontinas non venga tagliato, la vita umana in uno Stato governato dallo stato di diritto è il bene supremo”. Il governo conservatore ha replicato che in uno Stato governato dallo stato di diritto “la legge si applica a tutti, anche a coloro che non mostrano rimorso e insultano la memoria delle loro vittime camminando ostentatamente nei luoghi in cui sono stati uccisi”.
Tra le vittime del 17 novembre ci sono anche l’editore Nikos Momferatos e il deputato Pavlos Bakoyannis nel 1989, cognato dell’attuale primo ministro Kyriakos Mitsotakis, e padre dell’attuale sindaco di Atene, Kostas Bakoyannis. Un omicidio che all’epoca fece indignare tutto il Paese, con la condanna unanime anche da parte dei comunisti greci che rispettavano molto Bakoyannis per il suo contributo politico contro la Giunta.
Syriza ora accusa il governo di vendetta per il coinvolgimento personale della famiglia Mitsotakis, ma i familiari delle vittime sostengono che il confinamento di un terrorista come Koufondinas in una prigione agricola sia uno sfregio alle morti causate dalla 17 novembre. In piazza Syntagma, ad Atene, si susseguono le proteste di antagonisti e militanti dell’opposizione: forte la tensione con la polizia che ha impiegato i cannoni ad acqua per disperdere i manifestanti, i quali hanno risposto con lancio di molotov e pietre. La scorsa settimana sono stati segnalati attacchi mirati di anarchici ai poliziotti impegnati nelle strade per le attività legate alla pandemia, come la campagna di vaccinazione o i controlli nelle aree in lockdown. Secondo la denuncia fatta pubblicamente dal Segretario generale delle forze di sicurezza greche, Stratos Mavroidakos, i poliziotti adesso rischiano la vita. “Il clima è pesante, non abbiamo ancora un poliziotto morto – ha detto – Ma alcune persone vorrebbero sporcarsi le mani con il sangue della polizia, pensando di fare una rivoluzione”.