“Non abbiamo lasciato a casa nessuno: questa è la cosa più importante”. Lo scenario che racconta Maria Vittoria Falchetti sembrava impensabile appena un anno fa. L’azienda di famiglia, la Mta, che produce componentistica per il settore auto, ha la sua sede principale a Codogno, il paese del lodigiano dove è stato scoperto il primo caso di Covid-19 in Italia. E dove nel febbraio 2020 scattarono le prime chiusure totali. “Eravamo gli unici fermi in Europa, è stato difficile spiegare ai clienti che non potevamo rifornirli”, racconta Falchetti, responsabile marketing e comunicazione. Le maggiori case automobilistiche europee utilizzano i componenti che escono dagli stabilimenti italiani del gruppo. “Le linee di produzione rischiavano di bloccarsi, con relativi addebiti, e si sarebbero fermate anche le nostre sedi all’estero che dipendono dalle forniture italiane”. L’attività in azienda, anche se ai minimi, riprese pochi giorni dopo grazie a una deroga. Ma in aprile le stime erano ancora pessime: meno 30% di ricavi rispetto all’anno precedente. Alla fine però, anche grazie all‘export, il 2020 si è chiuso meglio del previsto: -8%.
A febbraio 2020 la chiusura totale ha rischiato di mettere a rischio le linee di produzione di Fca in Italia e quelle di Renault, Bmw e Peugeot in tutta Europa. “Per fortuna le istituzioni ci hanno permesso di far rientrare il 30% dei dipendenti, provenienti solo dalla zona rossa”, ricorda Falchetti. Il minimo per caricare i camion e rifornire i clienti europei. “All’inizio dall’estero ci chiedevano: perché vi fermate per un raffreddore? Poi quando il problema è diventato globale hanno capito che non si trattava di un raffreddore”. Lei e il fratello in quei giorni hanno perso il padre e presidente dell’azienda proprio a causa del Covid. “Aveva 86 anni ma stava bene: da casa, fino all’ultimo, si era impegnato per riaprire l’azienda. Il 4 marzo è stato ricoverato in ospedale e due giorni dopo è morto”.
Un grande aiuto è arrivato dalla sede di Shanghai: “In quella zona il lockdown era in vigore da settimane. Nei primi giorni abbiamo condiviso misure che loro avevano già adottato: misurazione della temperatura all’ingresso, gel disinfettante, distanziamento“, racconta Antonio Falchetti, direttore esecutivo dell’azienda. “E dalla Cina sono arrivate velocemente quelle mascherine che qua all’inizio mancavano”. Oggi tutto questo è diventato lo standard nella produzione, mentre negli uffici della Mta si lavora a rotazione in smart working per tre giorni a settimana. Ma nelle prime fasi della pandemia l’organizzazione non è stata semplice: “Siamo dovuti andare noi in azienda a prendere i computer e portarli ai colleghi che vivevano fuori dalla zona rossa. Il problema c’è stato nell’ambito della ricerca e sviluppo dove vengono utilizzate macchine e software complessi. Ma in questi mesi non si è fermato nulla, abbiamo portato a casa progetti realizzati totalmente in smart working”.
Il crollo mondiale della domanda di automobili non ha aiutato il settore della componentistica. Ma dopo le prime difficoltà l’export del gruppo, 1.640 dipendenti in 10 sedi sparse in tutto il mondo, ha ripreso a correre: “Le vendite nel settore sono calate ma noi abbiamo compensato fornendo nuovi prodotti ai nostri clienti”. Non solo case automobilistiche, ma anche marchi del settore agricolo. “La richiesta è stata altissima e la struttura snella ci ha permesso di dare risposte veloci e di essere flessibili nel cambiare progetti in corso d’opera”. I primi mesi del nuovo anno sembrano confermare questo andamento, con il fatturato del gruppo che tra gennaio e febbraio è risultato in crescita del 5 per cento rispetto allo stesso periodo del 2020. E la previsione di arrivare a 1.700 dipendenti entro fine anno.