Proseguono le udienze del maxi-processo “Rinascita-Scott” contro la cosca Mancuso di Vibo Valentia e contro i colletti bianchi. E proseguono pure le dichiarazioni di ricusazione dei giudici. Questa volta sono stati gli avvocati Nunzio Raimondi e Piero Chiodo, difensori dell’imputato Francesco Stilo (anche lui avvocato), accusato di essere contiguo alla ‘ndrangheta. La ricusazione è stata formulata nei confronti di due dei tre componenti del collegio.
In sostanza i due legali sostengono che la presidente Brigida Cavasino e il giudice a latere Gilda Danila Romano hanno già valutato alcuni fatti e fonti di prova confluiti poi nel processo “Rinascita-Scott” e implicanti la responsabilità del loro assistito Francesco Stilo. La ricusazione è stata anticipata nei giorni scorsi e formalizzata stamattina poco prima della deposizione del collaboratore di giustizia Raffaele Moscato. Il 5 marzo, infatti, sono state depositate le motivazioni del processo “Nemea” dalle quali, per gli avvocati Chiodo e Raimondi, si desume che i due giudici in quel processo hanno già deliberato sull’attendibilità di collaboratori di giustizia sui medesimi fatti per i quali dovrà essere giudicato l’avvocato Stilo in “Rinascita-Scott”.
Secondo i due avvocati, in sostanza, la presidente Cavasino e la giudice a latere Romano potrebbero essere condizionate dalle loro precedenti valutazioni. Prendendo spunto dalle motivazioni della sentenza “Nemea”, gli avvocati Chiodo e Raimondi – si legge in una nota – “hanno proceduto ad una minuziosa ricostruzione dei fatti dei due processi, dimostrando mediante numerosi e specifici documenti, le pregresse valutazioni compiute dalle due giudici, già componenti del Tribunale che ha emesso la sentenza nel processo denominato “Nemea” di cui oggi, però, si conoscono le motivazioni; un processo, sostengono i legali, che deriva, per separazione, dall’indagine Rinascita-Scott”.
Per l’avvocato Raimondi, che oltre a essere difensore di Stilo è professore universitario a contratto di ‘Genesi e dinamiche delle organizzazioni criminali’, “si tratta di una forma di tutela della giurisdizione in relazione al diritto fondamentale dell’individuo di essere giudicato da un magistrato effettivamente terzo e libero da quella che Carnelutti, già nel 1946, definiva la forza della prevenzione”. Sulla ricusazione dei due giudici adesso dovrà decidere la Corte d’Appello di Catanzaro.