[ENGLISH VERSION]

Ricevo dal mio amico e collega Wyn Jones qualche sua considerazione sul futuro post-Covid. Curioso di sapere cosa ne pensa il popolo dei blog de Il Fatto Quotidiano, ho letto, tradotto e leggermente integrato. Buona lettura a tutti!

Sembra essere sempre più evidente che per le imprese il futuro post-Covid sarà caratterizzato da una netta ripartizione fra aziende vincenti e perdenti. Il motore di questa segmentazione estrema non sembra essere la “natura intrinseca“ dei comparti industriali – vedi, per esempio, il settore degli esercizi pubblici, bar e ristoranti in drastica contrazione a causa delle restrizioni di distanziamento sociale – quanto la capacità di avere saputo utilizzare la crisi Covid come “catalizzatore costruttivo” per il cambiamento organizzativo.

Le aziende “illuminate” stanno sfruttando le condizioni eccezionali della pandemia per accelerare iniziative strategiche, interne ed esterne, già avviate, o almeno già giudicate necessarie e auspicabili. In questo ultimo caso sono, o sono stati, in grado di “avviarle” in modo rapido ed efficace.

La logistica è forse il caso più eclatante. Il volume delle consegne degli acquisti online è aumentato in 8 settimane della stessa quantità dei dieci anni precedenti! Anche in settori come la telemedicina e il lavoro più o meno smart a distanza sono stati osservati passi da gigante. Di certo presentavano dinamiche di crescita prima della crisi Covid, ma nessuno aveva previsto crescite così rapide ed esponenziali.

Nei fatti è ritornato in auge (come se fossero necessarie ulteriori prove) il concetto di “competenze fondamentali” nell’innovazione di prodotti e servizi (inizialmente proposto da C. K. Prahalad e Gary Hamel, nel saggio seminale The Core Competence of the Corporation, HBR, maggio 1990). Quando i tempi sono difficili, essere in grado di gestire un rapido processo di cambiamento interno avvalendosi delle competenze affinate nei giorni di vacche grasse diventa un grande vantaggio competitivo.

Riprogettare le organizzazioni in crisi, senza precedenti esperienze di cambiamenti e miglioramenti significativi e continui, è compito assai più difficile. Quasi impossibile. Nessuno è rimasto sorpreso dei risultati di una recente ricerca della McKinsey, che ha rilevato “un drammatico ampliamento del divario tra quelli in cima e in fondo alla curva del profitto economico”. In altre parole il forte diventa più forte e il debole più debole. Jacques Chabanne, signore di La Palice, non avrebbe potuto esprimersi meglio.

I cambiamenti sono visibili in tutte le attività economiche. I settori vincenti già prima dell’era Covid, per esempio quello farmaceutico e quello dei semiconduttori, corrono sopravanzando quelli più deboli come bancario e servizi di pubblica utilità. In effetti, una statistica meravigliosamente chiara mostra come i sei settori più redditizi hanno aggiunto 175 miliardi di dollari all’anno al loro tesoretto di profitti attesi, mentre i sei meno redditizi hanno perso 373 miliardi di dollari.

Domanda: questi risultati sono legati alla natura dei settori stessi? O sono conseguenza dell’abitudine a elevati livelli sia di pensiero strategico innovativo, sia di capacità gestionali? Oppure abbiamo a che fare con il classico problema dell’uovo e della gallina, perché i soggetti altamente motivati ​​e creativi finiscono a lavorare in Google o in Apple e non nel settore bancario o delle Utilities?

Il messaggio che si deduce da queste domande è che tutti i settori industriali richiedano ora approcci al cambiamento simili e “visioni strategiche” concettuali capaci di sostenere e galvanizzare le prestazioni. I giorni della calma sono finiti!?

Qualche altra domanda su cosa potrebbe riservare il futuro.

1. I cambiamenti radicali nell’organizzazione e nella cultura aziendale saranno permanenti? Gestire la crisi con modalità militare può essere ideale per apportare in breve tempo cambiamenti radicali, ma le culture aziendali non vengono sicuramente cambiate in modo irreversibile e continuo dall’oggi al domani.

Siamo sicuri che le questioni “classiche” del lavoro come l’esaurimento, la preoccupazione per l ‘equilibrio vita/lavoro” e il lato sociale, comprese le gite e le squadre di calcio aziendali, non siano solo sospese, causa i tempi eccezionali che stiamo vivendo, pronte a riemergere quando inizierà la “stanchezza da cambiamento”? Viene in mente un’analogia con Mao e la Rivoluzione culturale. Quali prove abbiamo che la “istituzionalizzazione” di un cambiamento organizzativo quasi continuo e radicale sia possibile?

2. Possiamo immaginare una situazione in cui ragionare sui futuri possibili sia, per le aziende e le organizzazioni consapevoli di essere a rischio, il modo per tracciare la rotta (… e per salire a bordo) del cambiamento? Molte di loro avranno bisogno di terapia tonificante e rinvigorente.

Si consiglia un bel “Future on the Rocks” ad alta gradazione e giusto invecchiamento.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti