Tra i possibili danni della pandemia c’è anche il probabile aumento di concentrazione di mercato, con poche grandissime aziende sempre più “padrone” di tutto. Ad evidenziare il pericolo è una ricerca appena pubblicata dal Fondo monetario internazionale. La tendenza ad una progressiva concentrazione non è nuova, è iniziata nei primi anni ’80, con particolare intensità in settori come la farmaceutica o la tecnologia dove il potere di mercato di pochi ma giganteschi gruppi si è andato via via costantemente rafforzando. Meno spiccato il fenomeno nel settore bancario. Ora però, avvisa l’Fmi, l’ondata di fallimenti che verosimilmente provocherà la pandemia è destinata a dare una brusca accelerata a questo processo. I grandi gruppi sono infatti solitamente più resistenti, hanno più facilmente accesso a linee di credito o altre forme di finanziamento, e più frequentemente vengono aiutate dagli stati. Per le imprese più piccole affrontare la tempesta è invece molto più difficile e complicato.

Il Fondo procede poi ad una simulazione, analizzando il livello medio di concentrazione di mercato di 21 paesi e presentando la situazione in assenza di pandemia e poi le probabili conseguenze dello scenario attuale. Alle prime 4 aziende di ogni settore fanno oggi capo il 56% delle vendite dei primi 20 operatori. L’effetto ri-allocativo della pandemia alzerebbe rapidamente questa quota al 60%. In sostanza quello che chiarisce l’Fmi è che, in ogni comparto, i primi quattro gruppi vedranno crescere la loro quota di mercato a scapito di tutti gli altri molto più rapidamente di quanto sarebbe avvenuto senza la pandemia. “La probabile ondata di fallimenti delle piccole e medie imprese a causa della pandemia in corso rafforzerà ulteriormente la concentrazione del mercato”, si legge nella presentazione della ricerca.

Perché questo è un male? Come rimarca il Fondo l’eccessiva concentrazione di mercato tende ad associarsi ad un peggioramento del dinamismo del mercato. Pochi grandi gruppi che operano ina situazione di sostanziale oligopolio sono più facilmente in grado di dettare le loro regole a lavoratori e consumatori. In un contesto di ridotta concorrenza è più semplice aumentare i prezzi e accumulare extra profitti. L’Fmi suggerisce quindi alle autorità che regolano mercati e concorrenza di vigliare attentamente sulle future operazioni di fusione e acquisizione e sulle pratiche anti concorrenziali. Sinora l’orientamento della Commissione Ue è stato, volutamente, molto lasco nel contrastare le concentrazioni di mercato. Tra il 1990 e il 2019 Bruxelles ha esaminato 7mila operazioni di fusione e acquisizione. Ne ha bloccate 30.

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