Ha l’aria di una ghigliottina su otto anni di pontificato il documento della Congregazione per la Dottrina della fede, che vieta la benedizione delle coppie omosessuali. Le parole sono inequivocabili: “Non è lecito impartire una benedizione a relazioni, o a partenariati anche stabili” alle coppie gay. Perché le “unioni fra persone dello stesso sesso” implicano una “prassi sessuale… fuori dell’unione indissolubile di un uomo e una donna aperta di per sé alla trasmissione della vita”.
L’illiceità della benedizione delle unioni omosessuali inoltre tanto più imperativa “in quanto è in certo qual modo una imitazione o un rimando di analogia con la benedizione nuziale” nel matrimonio fra uomo e donna. Conclude il documento dell’ex Sant’Uffizio: “Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppur remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”. Fine del discorso.
In poco più di due paginette vengono mandati al macero – almeno apparentemente – tutti gli interventi di papa Francesco dalla sua elezione ad oggi. “Se una persona è gay, chi sono io per giudicare… Dio ti ha fatto così e ti ama così… Gli omosessuali sono figli di Dio… Hanno diritto a vivere in una famiglia”. Frasi che hanno scandito il pontificato, compresa l’affermazione che Bergoglio sin dai tempi da arcivescovo a Buenos Aires è favorevole ad una legge sulle unioni civili.
Se a capo della Congregazione per la Dottrina della fede ci fosse qualcuno nominato da Benedetto XVI, si potrebbe dire che la sortita è frutto dell’opposizione conservatrice al papa argentino. Ma il cardinale Luis Ladaria è stato scelto personalmente da Francesco e il pontefice è a piena conoscenza (e lo ha approvato) del documento, tecnicamente un “Responsum”, cioè una risposta a quesiti sollevati in ambito ecclesiale. E’ come quando negli Stati un giudice solleva un quesito di costituzionalità e la Corte costituzionale dà l’interpretazione cogente della legge.
In realtà il testo del S.Uffizio, destinato con gli anni a finire nel dimenticatoio, fotografa una caratteristica del pontificato bergogliano e anticipa il dibattito del futuro conclave. Perché su tutti i temi, che riguardano la problematica dei sessi e dei rapporti di vita, Francesco ha riformato le indicazioni provenienti da quello che una volta si chiamava il “Sacro Soglio” o il “Sommo Pontefice” senza cambiare contemporaneamente il testo della dottrina tradizionale. Senza riformare il catechismo ufficiale.
E la ragione è semplice. Bergoglio coglie le esigenze che nascono dal mutare dei tempi e del contesto culturale, ritenendo che l’insegnamento della Chiesa sia qualcosa di vivo orientato a esprimere l’essenza del messaggio evangelico e dunque l’amore di Dio e l’amore verso il prossimo, ma al tempo stesso Bergoglio nel corpo episcopale non possiede la maggioranza per mutare la lettera della dottrina ufficiale.
Non è vero che un papa è onnipotente. Lo è quando è conservatore. Non lo è quando è innovatore. La riforma ha sempre bisogno – come dimostrano gli scontri infiammati e le votazioni al concilio Vaticano II – di solide e ampie maggioranze. In questo contesto si è assistito negli ultimi anni alle svolte del pontificato – basta con il veto alla comunione dei divorziati risposati, basta con le discussioni sugli anticoncezionali, basta con la demonizzazione delle relazioni omosessuali – attuate per impulso di Bergoglio pur senza essere accompagnate dalla riscrittura dei testi dottrinali.
E’ la fotografia di una lunga transizione verso una Chiesa cattolica differente. Ed è un’anticipazione del dibattito in vista della successione, nel quale il fronte tradizionalista premerà per la scelta di un pontefice più “moderato” che non si “allontani” dalla dottrina tradizionale.
In realtà il documento non frenerà il rinnovamento in corso. Intanto perché la Congregazione per la Dottrina della fede sottolinea ripetutamente che non bisogna avere alcun atteggiamento discriminatorio verso le persone omosessuali, da trattare con rispetto e “delicatezza”. Non solo, la dichiarazione “non esclude che vengano impartite benedizioni a singole persone con inclinazione omosessuale” (il che nella tradizione secolare cattolica apre la strada a varianti di ogni tipo).
Ma soprattutto non è più arrestabile il dibattito in corso e neanche la prassi già in atto in quelle parrocchie e diocesi dove una serie di vescovi e parroci – sentendosi coperti dalle parole di Francesco – già benedicono il progetto di vita di una oppia omosessuale.
Lo testimonia il modo stesso con cui l’Avvenire, giornale della conferenza episcopale italiana, riferisce l’avvenimento. Una pagina intera in cui campeggia naturalmente il documento vaticano ma trova spazio anche una cronaca dedicata a opinioni che – pur evitando di contrapporsi frontalmente alla Congregazione per la Dottrina della fede – riflettono il clima di transizione. “Non significa che le persone omosessuali siano escluse dall’essere benedette”, rimarca padre Maurizio Faggioni docente all’Accademia alfonsiana, aggiungendo che la teologia deve continuare a interrogarsi e riflettere sul fenomeno omosessuale. A sua volta il gesuita Paolo Piva evidenzia che il documento vaticano riconosce esplicitamente nelle relazioni omosessuali la “presenza di elementi positivi, che in sé sono pur da apprezzare e valorizzare”. Sempre Avvenire informa che in Germania il processo sinodale inaugurato dai vescovi si occuperà della questione, mentre nel frattempo il vescovo di Magonza Peter Kohlgraf ha dato il suo appoggio ad un libro di benedizioni e di riti per le unioni omosessuali.
Va notato, paradossalmente, che nell’ambito del cattolicesimo proprio i sostenitori più inflessibili della condanna senza appello dei rapporti omosessuali chiudono gli occhi sulla realtà di una Chiesa nella quale da sempre vivono e fanno carriera operatori gagliardamente gay. Un libro documentato e affascinante del sociologo Marco Marzano, “La Casta dei Casti” (ed. Bompiani), illustra quanto si trovino a loro agio nell’istituzione ecclesiastica preti, seminaristi ed educatori omosessuali capaci di “non dare scandalo”.