“A Mauro gli abbiamo dato la vita, lo vogliamo bene”. Un affetto che sarebbe stato ricambiato con una “disponibilità” praticamente assoluta. A parlare, in un’intercettazione ambientale finita nelle carte dell’inchiesta Sipario della procura di Catania che ieri ha portato a 22 misure cautelari per un totale di 34 indagati, è il presunto boss del clan Cappello Orazio Buda. Destinatario del suo affettuoso messaggio il vicebrigadiere della guardia di finanza, Mauro Massari. Entrambi sono finiti in carcere perché ritenuti i protagonisti di un “patto elettorale” tra mafia e politica. Al centro della vicenda le elezioni comunali del 2018 a Catania, tornata in cui il militare, in servizio alla compagnia di Augusta, centrò l’elezione nella sesta circoscrizione con quasi mille voti. Garantendosi, sotto la bandiera di Forza Italia, anche la poltrona da vice presidente.
Dietro la forza politica dell’uomo in divisa, già eletto nel 2013 con il Popolo delle Libertà, secondo le accuse, ci sarebbe stata però la fondamentale spinta criminale di Buda. Personaggio bollato come “una macchina da soldi negli investimenti”, secondo il pentito Salvatore Bonaccorsi, oltre a essere il cugino del boss Orazio Privitera. In cambio dei voti il finanziere 40enne è accusato di essersi mosso come una sorta di faccendiere. Pronto a prendere un appuntamento, per conto del figlio di Buda, con il responsabile dell’ufficio ambiente del Comune di Catania, ma anche intenzionato a utilizzare l’auto di servizio per intimorire un imprenditore in contrasto con il presunto boss. In mezzo la disponibilità a interloquire con un finanziere in pensione, titolare di un’agenzia marittima attiva nelle demolizioni di piattaforme al porto di Augusta, in provincia di Siracusa.
L’interesse di Buda sarebbe stato rivolto al subappalto per l’abbattimento di una struttura in ferro: circa 20mila tonnellate di materiale per un valore di sei milioni di euro. “Lui è un ex finanziere, perciò dobbiamo stare attenti”, diceva un socio dell’affare a Buda. Il presunto boss aveva la risposta pronta: “Minchia, ce l’ho un finanziere. Parliamo con Alberto (suo figlio, ndr), che è suo amico”. Il militare, secondo la procura, si era messo subito a disposizione ma con l’unica richiesta di attendere la fine delle elezioni del 10 giugno 2018: “Ci devo passare personalmente con l’auto di servizio”, spiegava.
Prima di sondare il terreno per conto di Buda il finanziere sottolineava le difficoltà nel racimolare voti all’interno di Forza Italia, con altri candidati sponsorizzati da volti noti della politica locale nel sottobosco dei patronati. “Ascolta, siamo con te”, gli spiegava il presunto boss. “Forse non ci siamo capiti: io mi chiamo Orazio Buda, tu mi dici “ne voglio due” e io te ne do cinque”. Il responso delle urne alla fine conferma le previsioni e Massari raccoglie quasi mille preferenze, doppiando gli altri contendenti. Alcuni mesi prima delle elezioni a benedire l’ingresso in Forza Italia del finanziere era stato Salvo Pogliese, allora coordinatore provinciale degli azzurri poi eletto sindaco di Catania. In un post, pubblicato su Facebook, l’ingresso di era indicato come “un’ulteriore iniezione di capacità ed esperienza”. Durata però meno di due anni.
A fine 2019 il finanziere, seguendo di fatto il percorso politico del sindaco che ha lasciato Forza Italia per trasferirsi in Fratelli d’Italia, annunciava l’ingresso nel partito di Giorgia Meloni. Il vicebrigadiere non è però l’unico politico indagato nell’inchiesta Siparo. Nell’elenco, composto da 34 persone tra cui 22 destinatari di misure, spunta anche il consigliere comunale Salvatore Peci. Pure nei suoi confronti la procura ipotizza il reato di corruzione elettorale nell’ambito della concessione per l’apertura di un chiosco-tabacchi. Peci è stato eletto a Palazzo degli elefanti nella lista di centrodestra Salvo Pogliese sindaco – Una scelta d’amore per Catania. “Buda non perdeva occasione – si legge nell’ordinanza – per evidenziare il contributo offerto per l’elezione dell’attuale sindaco di Catania (non indagato) grazie al sostegno fornito a Massari e Peci”. La questione delle infiltrazioni nel consiglio cittadino tornano così prepotentemente sotto i riflettori. Tra il 2015 e il 2016 delle ombre all’interno del Consiglio comunale si occuparono la commissione antimafia nazionale e regionale, con diversi nomi segnalati in procura.