“In Argentina i finanziamenti per la ricerca sono veramente pochi. In più si è lontani da tutto e da tutti, è difficile spostarsi per riunioni o conferenze. È tutto molto più complicato”. Antonio Ferramosca, 39 anni, pugliese, dopo le sue esperienze in Spagna prima e in Argentina poi, ha deciso di tornare in Italia, insieme a Cecilia, sua moglie, e alle sue due figlie. Oggi è docente all’Università di Bergamo, ma non si sente un “cervello” rientrato. “Avevo bisogno di poter andare in un posto che mi permettesse di fare il mio lavoro al meglio”, spiega. “E l’Italia è uno di questi”.

Originario di Maglie, in provincia di Lecce, una laurea triennale in Ingegneria Informatica e una magistrale all’Università di Pavia, Antonio è andato via per la prima volta nel 2006, dopo aver vinto una borsa di studio per un dottorato all’Università di Siviglia, in Spagna. Dal 2009 ha avuto la possibilità di studiare per un semestre presso l’University of Wisconsin-Madison, Usa. “Proprio in quei mesi ho conosciuto Cecilia, una ragazza argentina, che è poi diventata mia moglie”, ricorda. Dopo la fine del dottorato, nel 2011, Antonio e Cecilia decidono di trasferirsi in Argentina. “Lì ho lavorato, come post-doc prima e ricercatore poi, presso il Conicet, l’equivalente argentino del nostro Cnr”, racconta.

A Reconquista, nella provincia di Santa Fe, Antonio diventa professore a contratto di Teoria dei Sistemi e Controlli Automatici presso l’Università Tecnologica Nazionale. “Quando dovevo fare lezione le giornate diventavano lunghissime: l’Università Tecnologica Nazionale (UTN) è stata concepita a fine anni ‘40 come università pubblica che potesse dare ai lavoratori la possibilità di studiare”. Anche per questo – ci spiega Antonio – le attività non iniziano prima delle 17. “A volte ho fatto lezione fino a mezzanotte”, sorride.

Per Antonio ogni Paese ha il suo sistema accademico e universitario. “In Argentina purtroppo è più difficile fare un lavoro come il mio. I finanziamenti per la ricerca sono veramente pochi. Ad ogni modo – continua – il livello di preparazione accademica è alto. L’Argentina è scelta per studiare da molti ragazzi del Sudamerica”.

Il costo della vita in Argentina è “più basso rispetto all’Italia – spiega – e di conseguenza anche gli stipendi. L’affitto per la casa, ma anche carne, frutta, verdura hanno un prezzo inferiore”. Il peso è una moneta “debole” e l’inflazione tocca vette “del 55% annuale, a cui non corrisponde mai un aumento degli stipendi delle stesse proporzioni”. Anzi. “Mi viene da dire che in Argentina i professori sono sottopagati”.

Argentini e italiani, ci spiega l’expat, sono molto simili. “Gli argentini sono quasi tutti nipoti o pronipoti di italiani e hanno un amore viscerale per l’Italia. Hanno ben impressi nella mente i racconti dei loro nonni o bisnonni e un desiderio di italianità incredibile”. Questo, però, non ha fatto altro che “rendermi ancora più nostalgico”, sorride.

Così, nel 2020, dopo 9 anni passati in Sudamerica Antonio, insieme a sua moglie e alle sue due figlie, decide di tornare in Italia, vincendo un concorso per un posto come professore alla Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bergamo. Pentito? “No, non userei questa parola – risponde –. Però non sono mai riuscito a sentirmi a mio agio in Argentina. E ho sempre desiderato e cercato il modo di poter tornare in Italia”. Antonio non si definirebbe un “cervello di ritorno”. Si sente semplicemente una persona fortunata, che dopo tanti anni e diverse esperienze all’estero aveva voglia di casa, di famiglia, di amici, di ritornare a parlare nella sua lingua, mangiare i piatti della cucina italiana. Ed ha avuto l’opportunità di farlo. “Sono una persona che aveva ormai nostalgia dell’Italia e che per fortuna è riuscito a tornarci”.

Il futuro lo immagina “ancora a Bergamo, facendo quello che mi piace: ricerca e docenza universitaria. Ma con qualche anno in più e i capellibianchi”. Su una cosa, però, Antonio non ha dubbi. “Il sistema accademico italiano è di altissimo livello, tra i migliori in Europa. La formazione che ho ricevuto mi ha permesso di fare il mio lavoro all’estero e non mi sono mai sentito in ritardo rispetto ai colleghi provenienti dal resto d’Europa o degli Stati Uniti”, aggiunge. Certo se ci si riferisce al budget è evidente che le più importanti università Usa “hanno fondi che le università italiane, anche le nostre eccellenze, non hanno mai visto”. Ma questo “non vuol dire che la qualità dell’insegnamento e della ricerca sia inferiore qui in Italia. Al contrario – conclude –, ti posso assicurare che nel mio campo di ricerca gli italiani sono tra i migliori”.

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