“Harder, better, faster, stronger”. Pochi giorni fa il componente del Comitato esecutivo della Bce Fabio Panetta, ha citato il titolo di una canzone dei Daft Punk per spiegare quello che serve all’economia per uscire dalla crisi. Più sostegni, meglio indirizzati e più rapidi. Qualche osservatore inizia però a notare come in Europa si stia facendo esattamente l’opposto: troppo poco, troppo lentamente. Ad un piano vaccinale che segna il passo tra contraddizioni e intoppi, si associa un sostegno all’economia relativamente modesto. Soprattutto se si guarda a quello che sta invece accadendo negli Stati Uniti dove la presidenza Biden sta mettendo in campo risorse (quasi) mai viste prima. Con i suoi acquisti di titoli la Banca centrale europea continua a togliere le castagne dal fuoco a Bruxelles e alle capitali del Vecchio Continente. Ma per il resto siamo fermi a quel Recovery fund da 750 miliardi di euro, di cui la metà prestiti, che sarà anche uno sforzo mai visto per l’Ue ma, almeno a prima vista, impallidisce di fronte agli stanziamenti americani.

“Lenta, poco reattiva e poco generosa. La Germania è la grande sconfitta culturale e politica di questo evento. A chi serve un’Europa così? Ai sovranisti”, sono le amare considerazioni che l’economista francese Jean Paul Fitoussi ha consegnato a Il Fatto Quotidiano. Sullo stesso tasto continua a battere anche l’ex ministro greco Yanis Varoufakis che ritiene inadeguato il Recovery fund. “Coprirà appena un ottavo di quello che sarà necessario per i prossimi anni”, afferma in un’intervista a La Stampa, e ricorda come dei 209 miliardi destinati all’Italia 120 siano prestiti mentre i restanti 80 miliardi verranno distribuiti nell’arco di 6 anni con impatti sull’economia quindi relativamente modesti.

Ad agitare le acque è stato anche un commento dell’editorialista del Financial Times Martin Sanbdu che nel week end ha tratteggiato un impietoso confronto tra quello che stanno facendo gli Stati Uniti e come sta agendo l’Europa. Citando le previsioni di crescita economica dell’Ocse, Sanbdu rileva come l’impatto degli interventi statunitensi sia destinato a fornire una spinta vigorosa al Prodotto interno lordo. Questo consentirà tra l’altro a Washington di rallentare la perdita di peso economico nei confronti dei paesi emergenti e Cina. L’Europa sta al contrario accelerando questa deriva e le sue misure di sostegno anti pandemia sembrano inadeguate per riportare il ritmo di crescita su livelli soddisfacenti. Allo stesso modo la pensa lo storico dell’Economia Adam Tooze che descrive il 2021 come dell’anno della possibile disillusione. Ricorda come, sebbene l’Europa sia riuscita per ora a limitare l’impatto sull’occupazione, la crisi economica sia molto più profonda di quella statunitense ma venga affrontata con risposte meno vigorose. Come Varoufakis, anche Tooze è preoccupato soprattutto dal crollo degli investimenti, diminuiti di un anno di oltre 810 miliardi di euro, quindi più delle risorse stanziate con il Recovery fund, e soprattutto nei paesi del Sud del continente.

Meno pessimista il docente di macroeconomia internazionale ed europea dell’università parigina Science Po Francesco Saraceno che, a ilfattoquotidiano.it , spiega: “Attenzione a confrontare il piano Usa e quello europeo. Gli ordini di grandezza in realtà non sono così lontani. In Europa esistevano già una serie di interventi di welfare che sono finiti automaticamente nei deficit e se si sommano gli interventi dei singoli stati a quelli coordinati a livello europeo le cifre finali non sono così differenti“. Al piano Usa da 1.900 miliardi di dollari, che si aggiunge ai 900 miliardi varati a dicembre, ne seguirà un secondo da 2mila miliardi che saranno destinati agli investimenti. “Apprezzo la scelta di dividere in due distinti provvedimenti gli aiuti e le misure di rilancio dell’economia, ma in fondo lo stesso è stato fatto in Europa. La parte degli aiuti è stata gestita dai singoli Stati, quella per la ripresa invece da Bruxelles”, continua Saraceno. Il docente aggiunge “quello che secondo me manca nella strategia europea, ed è invece presente in quella statunitense, è la volontà di approfittare di questa occasione per affrontare il tema della diseguaglianza. La manovra Usa è infatti fortemente focalizzata a favore dei redditi più bassi“.

L’economista ritiene che, nel complesso, le misure messe in campo in Europa saranno sufficienti per risollevarci dalla pandemia, anche perché le priorità individuate, come digitalizzazione e conversione verde, sono quelle corrette. “Non credo però che le risorse siano sufficienti per impostare un vero e proprio cambiamento di paradigma in un ottica di maggiore sostenibilità sociale ed ambientale del modello di sviluppo europeo. Il Recovery fund, in quest’ottica, non fa abbastanza”, ragiona Saraceno.

Infine la questione del debito, ormai finito sopra al 100% del Prodotto interno lordo in tutti i principali paesi europei. “La Commissione ha dato un sostanziale via libera al ricorso al deficit, alcuni paesi come la Francia hanno fatto meno di quello che avrebbero potuto ma per loro scelta. Io penso che entro quest’anno la Commissione presenterà un progetto di riforma delle patto di stabilità. Personalmente credo che le vecchie regole (deficit entro il 3% del Pil e debito entro il 60% o impegno a tornare sotto questa soglia, ndr) non le rivedremo più. Resteranno sospese finché non saranno in vigore quelle nuove che le sostituiranno”. Un primo segnale positivo in questo senso è stata Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione Ue e rappresentante dei “falchi”, che ha aperto alla possibilità di scorporare gli investimenti in economia verde dai deficit pubblici.

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