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Diritti - 18 Marzo 2021
‘Così impossibile unire lavoro e cura dei figli. Ridiamo a Draghi i nostri strumenti professionali’. La protesta delle attiviste a palazzo Chigi
Una scatola con i mezzi del lavoro perso, fermo a causa delle restrizioni dovute alla pandemia, o reso impossibile dalla didattica a distanza. Un pacco
con dentro toghe, maschere teatrali, tesserini, pennelli, laptop, macchine fotografiche (e non solo) è stato consegnato simbolicamente dalle attiviste de ‘Il Giusto Mezzo’ a Palazzo Chigi, con destinatario il presidente del Consiglio Mario Draghi, per spingere l’esecutivo a trovare “soluzioni strutturali” per far ripartire il lavoro femminile, il più colpito – dati Istat alla mano – dalla recessione dovuta al Covid-19.
Nel 2020 a perdere la propria occupazione sono state oltre 300mila donne, il 70% dei nuovi disoccupati. Ma non solo, perché tante altre non riescono a esercitare la propria professione per le restrizioni. Senza dimenticare come, con i nidi chiusi e la didattica a distanza, la cura e la formazione dei più bambini sia lasciata interamente ai genitori, quasi sempre alle madri. “Congedi e bonus baby-sitter non bastano più, la dad non può essere la soluzione” hanno spiegato nel corso dell’iniziativa simbolica di fronte alla sede del governo. “Sono madre di un bambino piccolo, devo barcamenarmi tra il prendermi cura di lui e il mio lavoro da libera professionista. Questo significa spesso dover lavorare la notte per recuperare tempo”, spiega una delle attiviste. “Non siamo super-eroine, non possiamo essere noi a trovare soluzioni creative. In Italia non c’è posto per tutti nei nidi, ci sono enormi differenze. E questo significa spesso che le donne devono dire addio alle proprie ambizioni e alla propria carriera”, afferma un’altra attivista de ‘Il giusto mezzo”. “Serve che la metà dei fondi del Recovery Fund venga assegnato per la ripartenza del lavoro femminile”, spiegano. Ma non solo. “Non è giusto che si debba scegliere tra professione e famiglia. E va colmato il gender paygap (il divario retributivo di genere, ndr) “, è la richiesta diretto verso il governo.