Le contestazioni dei pm lucani al tenente colonnello Colacicco si riferiscono la prima a indagini della procura della Repubblica di Lecce su magistrati di Trani, la seconda a una calunnia ai danni del pubblico ministero Roberta Licci. Colacicco svelò a un magistrato particolari su come l'ex pm Savasta, poi condannato a 10 anni, raggiungeva accordi corruttivi con gli indagati. Ma alla richiesta di scrivere una relazione avrebbe rifiutato
“Un atteggiamento omissivo, reticente, che depista ed impedisce le indagini”. È il modo in cui il gip di Potenza Antonello Amodeo ha definito l’azione del tenente colonnello Angelo Colacicco, finito agli arresti domiciliari con l’accusa di aver depistato le indagini sul Sistema Trani. Pur essendo a conoscenza di una serie di vicende, avrebbe non solo omesso di fornire una relazione ai magistrati di Lecce che stavano indagando, ma anche dato una versione di comodo che mirava a ridimensionare la vicenda. Non solo. L’ufficiale dei carabinieri è accusato anche di calunnia nei confronti del pubblico ministero Roberta Licci perché, dopo l’interrogatorio nel quale gli erano state contestate una serie di reticenze e infine l’annuncio di essere indagato per favoreggiamento, avrebbe inviato una nota ai suoi superiori nella quale accusava la donna di aver avuto un atteggiamento inquisitorio.
È stata la procura di Potenza, con il procuratore Francesco Curcio e il sostituto Anna Gloria Piccininni, a chiedere e ottenere l’arresto dell’ex comandante del Nucleo operativo ecologico di Bari. Tutto è cominciato da un incontro dell’ufficiale nel 2019 quando svelò al magistrato di Trani Giovanni Lucio Vaira di aver compreso, dopo l’arresto dell’ex pm Antonio Savasta, alcuni strani atteggiamenti di quel magistrato su fascicoli di indagine che conduceva. In sostanza Colacicco svelò a Vaira che Savasta in alcune occasioni, dopo il deposito dell’informativa finale di un’indagine, interrogava le persone coinvolte senza interpellare i militari che aveva condotto l’inchiesta. E avrebbe fatto intendere che in quel modo raggiungeva degli accordi corruttivi con gli indagati al punto che quei fascicoli poi finivano con archiviazioni o in un nulla di fatto. Alla richiesta di Vaira di scrivere tutto in una relazione da inviare ai magistrati leccesi che indagavano su Savasta e gli altri magistrati del Sistema Trani, però, Colacicco avrebbe rifiutato. In un secondo momento, però, avrebbe redatto una nota nella quale tuttavia avrebbe ridimensionato la portata della vicenda.
Non solo. Nel colloquio con Vaira, l’ufficiale avrebbe anche raccontato che un ignoto magistrato – in seguito avrebbe svelato che era proprio Savasta – gli avrebbe chiesto di effettuare un controllo presso una concessionaria così da indurre il titolare a vendere l’auto che il magistrato aveva intenzione di acquistare a prezzi decisamente più bassi. Convocato dai pm leccesi, Licci e Giovanni Gallone, però, avrebbe fornito dichiarazioni che secondo i giudici erano false e avevano come conseguenza quella di favorire proprio Savasta. Inoltre a febbraio 2020 avrebbe contattato un carabiniere con la scusa di un caffè, ma in realtà con lo scopo di chiedergli di confermare la sua versione dei fatti in un eventuale interrogatorio dinanzi alla procura salentina. I militari, però, avrebbero rifiutato e raccontato tutto ai propri superiori.
L’incontro, per la procura d Potenza, configura il reato di depistaggio delle indagini: “Tale piano – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – fondato su menzogne, veniva scoperto solo grazie alla integrità morale” dei carabinieri presenti al colloquio con il Colacicco “i quali prontamente relazionavano alla loro superiore gerarchia quanto era stato illecitamente proposto da Colacicco, vale a dire una ulteriore attività di depistaggio delle indagini”. I magistrati della procura di Potenza, inoltre, ha chiarito che “il Colacicco dopo aver riferito un fatto circostanziato e grave al dott. Vaira ha cercato in tutti i modi di sfuggire dalle sue responsabilità, creando un groviglio sempre più intricato di bugie, calunnie, omissioni e falsità per coprire ‘il peccato originale’ rimanendone in definitiva intrappolato. Ed evidentemente, non pago di quello che aveva già perpetrato in precedenza ha pensato bene di contattare il collega per inquinare, ancora una volta, le indagini in corso”. Un tentativo che si è infranto pochi giorni fa quando gli è stato notificato il provvedimento che lo ha costretto agli arresti domiciliari nella sua abitazione.