A neanche 24 ore dall’assoluzione per il caso Nigeria, Eni punta ad archiviare anche un’altra vicenda giudiziaria. Si tratta dell’inchiesta della procura di Milano sul rinnovo delle concessioni petrolifere nei pozzi ‘Marine VI e VII’ in Congo, per cui il gruppo era stato inizialmente accusato di corruzione internazionale. Dopo che il pm Paolo Storari ha riqualificato il reato in induzione indebita internazionale e ha ritirato la richiesta di misura interdittiva, è stato raggiunto un accordo: il Cane a sei zampe, d’intesa con i magistrati, ha presentato una proposta di applicazione di sanzione pecuniaria da 800mila euro per la legge sulla responsabilità amministrativa degli enti e 11 milioni di euro a titolo di risarcimento. L’istanza, che riguarda la società e non le persone fisiche indagate, verrà discussa in udienza il prossimo 25 marzo davanti al gip Sofia Fioretta, che poi dovrà decidere se accoglierla o rigettarla.

Il gruppo petrolifero, ieri assolto con formula piena assieme a Shell, ai suoi ex manager e ad altri imputati per il caso Nigeria, con questa mossa punta quindi ad “archiviare” anche la vicenda congolese. Una strada, questa, che pure alcuni indagati starebbero valutando. Nell’inchiesta tra gli iscritti ci sono l’ex capo area subsahariana Roberto Casula (anche lui coinvolto nel caso Nigeria e assolto), Maria Paduano, ritenuta dai pm prestanome di Casula, Ernest Olufemi Akinmade, ex dirigente di Agip in Nigeria, e un altro ex dirigente di Agip, Andrea Pulcini. Nel registro degli indagati, al novembre 2020, c’erano pure l’ad Eni Claudio Descalzi e la moglie, Marie Madeleine Ingoba, entrambi accusati di omessa comunicazione di conflitto d’interessi.

Inizialmente la procura aveva accusato il Cane a sei zampe di aver accettato di coinvolgere nei lavori per il rinnovo dei diritti di sfruttamento dei pozzi nel Paese africano società congolesi indicate dal governo per almeno il 10% del valore dei contratti, stimati in 350 milioni. Di quelle mazzette (sotto forma di quote azionarie) avrebbero beneficiato esponenti governativi attraverso partecipazioni occulte in presunte società schermo. Il pm Storari però ha cambiato il reato, contestando l’induzione indebita e non più la corruzione internazionale. La Procura ha quindi deciso di revocare la richiesta di misura interdittiva – stop di due anni nella produzione di petrolio nei pozzi o, in subordine, il commissariamento di quelle attività – nei confronti della compagnia petrolifera. Così si è arrivati all’accordo, concordato su proposta del pm Storari con gli avvocati di Eni, Nadia Alecci e Nerio Diodà.

In merito all’accordo raggiunto il gruppo, si legge in una nota, “prende atto con soddisfazione del decadere anche di questa ipotesi di corruzione internazionale in seguito alla derubricazione del reato contestato da parte del Pubblico Ministero in induzione indebita”. La compagnia, oltre a ricordare che “metterà a disposizione quindi un corrispettivo pari a 11,8 milioni di euro come sanzione concordata”, spiega di aver “aderito all’ipotesi di sanzione concordata avanzata dalla Procura” e che questo “non rappresenta un’ammissione di colpevolezza”, ma mira ad “evitare un lungo e costoso iter giudiziario che comporterebbe un nuovo e significativo dispendio di risorse per Eni e tutte le parti coinvolte”. Infine, “l’ipotesi conferma inoltre – conclude la nota – la tenuta dei sistemi di controllo anti-bribery della società”.

AGGIORNAMENTO
l’Ing. Roberto Casula è stato assolto con sentenza passata in giudicato nel processo c.d. OLP 245 e la sua posizione è stata archiviata per quel che riguarda il reato di corruzione internazionale per la c.d. vicenda congolese.

AGGIORNAMENTO del 31-10-23
Precisiamo che il Gip presso il Tribunale di Milano ha disposto l’archiviazione del procedimento nei confronti della signora Marie Magdalena Ingoba e di tutti gli altri indagati

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