La premessa che è necessario fare, rispetto alla Justice League di Zack Snyder (in uscita per HBO Max negli Stati Uniti, SkyCinema e Now TV in Italia), è che non si tratta propriamente di un director’s cut, bensì di una riedizione di quattro ore di un film uscito in versione ibrida e ridotta più di tre anni fa alla quale il regista aveva dovuto rinunciare, per una combinazione di fattori che andavano dalla tragedia personale alle divergenze artistiche con gli studios.
Il montaggio finale e un cospicuo numero di reshoots furono affidati a Joss Whedon, fresco di separazione dalla Marvel, con un risultato deludente, in alcuni casi tragicomico. Da allora sono passati tre anni e mezzo di pervicaci campagne social, volte a ottenere una seconda chance per il regista di 300 e Sucker Punch. Anche per questo motivo è difficile scrivere di Zack Snyder’s Justice League limitandosi al film in sé: si tratta di un crocevia nel rapporto tra media e pubblico, di un precedente bislacco, a seguito del quale niente sarà più lo stesso nel campo dell’intrattenimento cine-televisivo. Non fidatevi della memoria di chi scrive, ma credo sia la prima volta che una major cinematografica investa 70 milioni di dollari nel rifacimento di un suo film recente. E questo perché lo hanno voluto fortemente i fan.
Tutto ciò sarebbe stato difficile da immaginare otto anni fa, quando la Warner affidò a Zack Snyder le chiavi dell’universo cinematografico condiviso DC. Il suo primo film, Man of Steel, era un tentativo di raccontare Superman come una figura cristologica riluttante, alla ricerca di se stesso in un mondo diffidente e fragile che a momenti rade al suolo facendo a botte con l’antagonista. La cifra stilistica era quella a cui Snyder aveva abituato il suo pubblico: un film muscolare e roboante sul piano formale, profondamente divisivo sul piano dello sviluppo narrativo al punto da risultare forzato nelle sue pretese drammaturgiche.
Nel seguito BvS (2016), Batman va vicino ad ammazzare Superman perché non può letteralmente fidarsi di uno così potente. Poi lo risparmia perché le loro madri hanno lo stesso nome, ma Superman muore comunque e Batman capisce il suo errore. Questa pellicola, se possibile, si rivela ancora più cupa della precedente, e ancora più polarizzante in termini di reazioni. Il film ottiene un successo tiepido, e la reazione social iniziale è perlopiù impietosa (ricorderete il bullismo dei meme sul rattristato Ben Affleck). La mano che dirige entrambi i film è intensa e autorevole, ma le viene imputato il tentativo di applicare un’estetica fin troppo solenne, per certi versi metallara, ad archetipi pop, creando un vero e proprio solco nella fanbase: fa impazzire di disappunto metà del suo pubblico, e di gioia l’altra metà.
Tuttavia nel 2016, il terzo capitolo della trilogia è già in lavorazione, tanto che la Warner si affretta a garantirne il tono più leggero e ottimistico. Ma le perplessità degli studios in proposito si accumulano finché Snyder non getta la spugna, e il completamento del film viene affidato a Whedon, col compito di renderlo più snello e scanzonato, ma con un risultato disastroso.
Nonostante il plot sia sostanzialmente lo stesso, la Justice League del 2021 ha poco a che vedere con la versione del 2017, soprattutto dal punto di vista della dignità cinematografica. È un film che si prende molto sul serio nonostante la materia fittizia, soprattutto è coerente rispetto alle pellicole che lo hanno preceduto. Snyder si prende tutto il tempo necessario per rifinire il mondo che aveva premesso nei due film precedenti e rimpolparne la mitologia. La struttura del film ricalca quella, corale, in cui un gruppo di eroi riluttanti deve superare le reciproche diffidenze per fronteggiare un’oscurità che può essere sconfitta solo dalla loro unione. Il film è ambizioso, dall’imponente impatto visivo. I suoi protagonisti sono divinità antropomorfe in cerca di risoluzione, profondamente umani nei loro irrisolti.
Forse è proprio la gravosità con cui questo rapporto tra umano e divino viene narrato a rendere i film di Snyder tanto divisivi: quel senso di lutto, di ostentata incomunicabilità, misto all’azione bombastica dei personaggi, alla maestosità dei loro poteri, crea uno straniamento nello spettatore che rende difficile l’immedesimazione in quelli che dovrebbero essere i suoi beniamini. Gli eroi di Snyder sono dèi feriti e spaventati, alieni e alienati rispetto all’umanità che sono chiamati a proteggere. Di contro, il punto di forza della Justice League a fumetti e delle trasposizioni che più hanno avuto successo nel catturare la loro essenza (è il caso della serie animata Warner, 2001-2006) risiedeva maggiormente in ciò che gli eroi facevano più che in quello che erano. Il fascino pop degli eroi si esaltava nella loro capacità di ispirare il prossimo più che nella loro tendenza a patirne, quasi forzatamente, le stesse sofferenze.
Al di là di considerazioni relative ai contenuti, è indubbio che dal punto di vista formale l’opera di Snyder sia una vetta del genere. Una vetta prolissa, ma proprio per questo in grado di fare giurisprudenza nella sua categoria, specie ora che la pandemia ha accelerato il passaggio del medium dalle sale cinematografiche alle piattaforma televisive. Probabilmente non si tratta della Justice League che tutti i fan volevano, non sta a noi dire se fosse quella di cui i fan avevano bisogno, sicuramente si tratta di una Justice League epica e godibile, in grado di ripagare la lunga attesa e di intrattenere anche lo spettatore meno coinvolto. Dato il momento che stiamo attraversando, forse va bene anche così.