La pandemia da Covid-19 ha già cambiato completamente le nostre vite e siamo tutti consapevoli che nulla tornerà più come prima, ma risulta indispensabile comprendere bene tutte le lezioni. Dopo aver fatto chiarezza sulla patogenesi reale del danno alla salute pubblica nelle Terre dei Fuochi – causata dall’eccesso, tutto italiano, di evasione fiscale di tutte le attività manifatturiere -, dobbiamo essere “grati” a questa pandemia che sta rendendo chiarissimo a tutta l’opinione pubblica quello che era già chiarissimo da anni a chi, come me, si occupava di monitoraggio della spesa farmaceutica.

La farmaceutica, sia legale che illegale (droghe), è da almeno tre decenni la prima e più importante industria mondiale, la più strategica ed essenziale e quella che garantisce, nel breve periodo, il massimo della liquidità economica, anche in periodi di recessione economica e non solo di pandemia. Tutti stiamo comprendendo quanto sia essenziale disporre sul nostro territorio di una industria strategica come quella della produzione di farmaci e vaccini. Stiamo scoprendo, altresì, che l’Italia già dispone sul proprio territorio nazionale di una industria farmaceutica e una ricerca farmaceutica tra le prime al mondo e prima in Europa, ma come Stato sovrano non le governiamo affatto, né siamo in grado di indirizzarne a nostro vantaggio sia la ricerca sia la commercializzazione dei farmaci prodotti sul nostro territorio nazionale.

Siamo, da almeno due decenni, una preziosa “colonia” produttiva di farmaci e vaccini per conto di industrie farmaceutiche multinazionali, ma non abbiamo alcuna sovranità né vantaggi nel governo dei farmaci che produciamo (sia innovativi sia generici). E a causa della pandemia da Covid-19 ce ne stiamo finalmente accorgendo tutti.

Io me ne ero già reso conto per quello che riguarda i farmaci innovativi oncologici. Sono laureato in Medicina da oltre 41 anni ma non posso ancora andarmene in pensione, pur ammalato, perché, per circa dodici anni, sono stato in gioventù uno dei tanti valentissimi ricercatori italiani precari che rendono onore all’Italia e soldi alle case farmaceutiche che ne acquistano, per pochi soldi, i frutti del lavoro di ricerca pubblica pagato dallo Stato. Tuttavia, i contratti dei nostri ricercatori restano per decenni miseri e precari e, soprattutto, senza adeguati versamenti previdenziali in grado di garantire almeno una vecchiaia serena. Da oltre tre decenni tra baronie universitarie e precariato senza sbocco, i nostri migliori ricercatori hanno dovuto emigrare all’estero per trovare degni spazi e remunerazione.

Non potrò mai dimenticare quando un giorno di pochi anni fa, dopo essermi sentito male in pieno centro storico a Napoli, fui soccorso da un povero venditore ambulante di cd contraffatti. Divenuti amici, mi confessò che il suo vero lavoro era di fare la “vedetta” per chi entrava e usciva dal rione Sanità, perché la sua bancarella era ubicata in luogo strategico: per questo servizio riceveva come “stipendio” circa 1500 euro nette (a nero) al mese, oltre ai benefit (come cellulare gratuito e motorino). E, se comunque avesse avuto problemi con la giustizia, il suo clan gli avrebbe garantito una “pensione” per tirare avanti la sua famiglia con tre figli piccoli a carico.

Nessun nostro ricercatore precario raggiungeva quello stipendio pur avendo una famiglia e figli a carico, e tantomeno riceveva versamenti adeguati per garantirgli una copertura previdenziale adeguata. Ma il famoso “welfare” della camorra da chi è garantito? Dal flusso infinito di denaro liquido che, ancora oggi, scorre immutato nelle casse di tutte le mafie del mondo grazie al “brevetto infinito” su pochi farmaci generici psicoattivi (le droghe) che tutti gli Stati hanno concesso, con il proibizionismo ottuso, a tutte le mafie del mondo. Il farmaco è una risorsa, la prima risorsa industriale nel mondo del terzo millennio con dodici miliardi di esseri umani. È invece soltanto un costo, divenuto ormai insostenibile, per gli Stati che, come il nostro, hanno scelto di tutelare con un Sistema Sanitario Nazionale i propri cittadini ma che hanno scelto di cedere completamente alle ditte farmaceutiche private il controllo sulla produzione e sulla ricerca.

A mio parere, oggi non è importante impiantare ex novo o nazionalizzare una industria farmaceutica. Oggi è importante riuscire a entrare nelle priorità delle scelte e degli indirizzi di ricerca ma anche di produzione e commercializzazione di questi colossi dell’industria mondiale che, a partire dal 2008, hanno mantenuto un ritmo di crescita industriale a due cifre e, oggi, sono le industrie che dispongono della maggiore liquidità di cassa tra tutte le attività produttive e manifatturiere del mondo. Grazie alla loro eccezionale liquidità di cassa, sono in grado addirittura di piegare alle proprie esigenze di aziende multinazionali private tutti gli Stati sovrani del mondo che hanno scelto di non entrare nella governance di queste industrie.

Come fare? Con il metodo più ovvio del libero mercato: entrandone a far parte acquisendo quote di controllo come Stato. Quello che gli Stati sovrani fanno quando si rendono conto del valore strategico nazionale di uno specifico settore industriale. Lo abbiamo compreso per le telecomunicazioni, ma non vogliamo comprenderlo per i farmaci, sia innovativi (farmaci oncologici e vaccini) che generici (ivi compresi soprattutto le droghe). Riusciremo adesso a comprendere, grazie al Covid-19, che è da tempo giunta l’ora che lo Stato italiano – magari tramite sue aziende di ricerca traslazionale come gli Irccs (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico) – non sia soltanto consumatore, ma entri nella produzione e controllo in joint venture con le più importanti industrie farmaceutiche e garantirsi la possibilità di influire concretamente sulle strategie di produzione e distribuzione dei farmaci che produciamo sul nostro territorio nazionale?

Quante decine di migliaia di vite umane avremmo già risparmiato se nelle Terre dei Fuochi d’Italia avessimo già intrapreso una efficace lotta alla evasione fiscale delle attività manifatturiere? E quante decine di migliaia di vite umane avremmo potuto risparmiare solo in quest’ultimo anno se avessimo avuto la possibilità di indirizzare concretamente e correttamente non solo la ricerca, ma soprattutto la produzione e la distribuzione di vaccini e farmaci già prodotti sul nostro territorio nazionale prioritariamente per noi italiani? Come potremmo definire chi si atteggia a bullo “sovranista” quando si tratta di opporsi agli sbarchi di poveri migranti e diventa invece il più morbido e servile zerbino quando ci si dovrebbe opporre alle ricchissime multinazionali di Big Pharma? A Napoli si dice “guappo di cartone”.

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