Ex dirigente del ministero della Salute e dell’Iss, autore del piano pandemico del 2006, negli anni dell'immondizia per strada a Napoli e provincia sostenne con forza la tesi della “assenza di alcuna relazione tra l'emergenza rifiuti o il loro mancato smaltimento e la mortalità campana, erroneamente ritenuta in aumento, per tumori o malattie incurabili”. Una posizione che lo misero in contrasto con i comitati di lotta e antidiscarica, in particolare quelli di Pianura e Chiaiano
Non ci sono solo le uscite riduzioniste degli scorsi mesi – il ritenere l’epidemia conclusa a maggio, i dubbi sulla capacità degli asintomatici di trasmettere il Covid – a suscitare polemiche sull’ingresso di Donato Greco nel Comitato Tecnico Scientifico dell’era Draghi. Polemiche che nascono dai trascorsi di Greco al vertice della task force sanitaria del commissariato per l’emergenza rifiuti in Campania, sotto la guida di Gianni De Gennaro. In quegli anni – era il 2008, governatore della Campania Antonio Bassolino, emergenza spazzatura nella fase più acuta, tra la mancanza di impianti di trattamento e le strade inondate di sacchetti neri – Greco, epidemiologo, ex dirigente del ministero della Salute e dell’Iss, autore del piano pandemico del 2006, sostenne con forza la tesi della “assenza di alcuna relazione tra l’emergenza rifiuti o il loro mancato smaltimento e la mortalità campana, erroneamente ritenuta in aumento, per tumori o malattie incurabili”. Una posizione basata su dati istituzionali e dossier governativi. Che però lo misero in contrasto con i comitati di lotta e antidiscarica, in particolare quelli di Pianura e Chiaiano, preoccupati dai racconti di leucemie e cancro in aumento sul territorio e dalla quantità preoccupante di rifiuti tossici scoperti durante i lavori preliminari di scavo.
Non mancarono occasioni di tensione, “fino al rischio dello scontro fisico”, come ricorda il medico Antonio Marfella, blogger de ilfattoquotidiano.it, all’epoca oncologo dell’ospedale Pascale ed in prima linea al fianco dei comitati che davano voce agli allarmi provenienti dalla Terra dei fuochi. Allarmi che Greco valutava infondati. Fino a pubblicare sul bollettino ufficiale dell‘Ordine dei Medici un articolo in cui sostanzialmente ritenne che l’incremento di neoplasie dipendeva dagli stili di vita a rischio dei residenti campani. “Una cosa è il linguaggio giornalistico, un’altra il rapporto scientifico. In provincia di Caserta — argomentava Greco — tra l’altro c’è la più alta percentuale di fumatori d’Italia”.
Quell’articolo fece andare Marfella su tutte le furie: “Gli risposi con un solo esempio: in Campania eravamo già ad oltre il 300% di incidenza in più del cancro al fegato, con picchi eccezionali nell’Acerrano e nel Casertano; ma ciò che molti esperti omisero di dire è che circa il 30% di questo 300% non è sieropositivo né per epatite b né per epatite c. Quindi oltre il virus è certo che c’è ben altro in Campania nella patogenesi del cancro del fegato. Inoltre, i dati indicavano che mentre l’incidenza della sieropositività ai virus a, b, e c tende a diminuire, l’incidenza del cancro al fegato tende ad aumentare”. Erano gli anni in cui si moltiplicarono le proteste di popolo contro progetti di discariche e termovalorizzatori – quello di Acerra vide la luce solo dopo molti anni – e Greco scrissi diversi interventi per ribadire che non esistevano rischi per i residenti nelle vicinanze dei moderni impianti di trattamento dei rifiuti solidi urbani.
Intervistato da Conchita Sannino su Repubblica, Greco parlò di “un clima di panico estraneo alla realtà dei fatti” e smontò l’ipotesi di ricerca avanzata nel 2008 dall’Iss che aveva osservato una maggiore mortalità nei territori a nord di Napoli, proprio in corrispondenza del cosiddetto “triangolo della morte” da rifiuti. “Era un cattivo studio – affermò l’epidemiologo – ovvero un’analisi avviata legittimamente, forse promozionata troppo in fretta e successivamente smentita da tutte le cifre in possesso della Asl 4, dell’Osservatorio epidemiologico della Campania”. Aggiungendo che il problema non era lo studio in sé “ma l’uso distorto e in parte strumentale che se n’è fatto in questi anni. Ora basta. Stiamo lavorando al Commissariato da settimane per fornire risposte sicure e responsabili. Se poi non piacciono o non servono allo scopo, questo è un altro conto”.
Una dozzina di anni dopo, il 10 febbraio scorso, un altro studio dell’Iss, realizzato in concerto con la Procura di Napoli Nord e relativo ai dati di 38 comuni, ha dimostrato invece la possibilità di una correlazione tra l’incremento dei rifiuti non smaltiti e quello di alcune tipologie di tumori. Nella nota diffusa dalla Procura guidata da Francesco Greco si legge: “Questi risultati evidenziano nel complesso un possibile ruolo causale e/o concausale dei siti di rifiuti, in particolare quelli incontrollati e illegali di rifiuti pericolosi, comprese le combustioni, nell’insorgenza di queste malattie. Aver focalizzato le analisi a specifiche patologie che riconoscono tra i fattori di rischio l’esposizione ai rifiuti e/o a contaminanti da essi rilasciati, le cosiddette patologie a priori, rende più confidenti nel possibile ruolo causale o concausale delle esposizioni in studio”.