In Sicilia c’è un’impresa che, da un anno a questa parte, fattura i servizi di pulizia resi negli ospedali di mezza isola nonostante il suo proprietario sia accusato di avere contribuito a truccare una gara d’appalto da oltre 227 milioni di euro. Protagonista di questo paradosso, che rappresenta soltanto la punta di un iceberg, è la Pfe di Salvatore Navarra. L’anno scorso la società è finita al centro dell’inchiesta che ha portato in carcere, tra gli altri, Antonio Candela. Manager, paladino di quell’antimafia che in Sicilia serba spesso sorprese e primo commissario Covid del governo guidato da Nello Musumeci, Candela è imputato (insieme a Navarra) del processo sullo scandalo corruzione nella sanità siciliana. Con loro c’è anche Fabio Damiani, il dirigente accusato di essersi prestato ad assecondare i desiderata di Navarra in cambio della promessa di ricevere 750mila euro.

La presunta tangente, che stando alle indagini della guardia di finanza sarebbe stata rateizzata in tre anni, era il prezzo che secondo le accuse Navarra doveva pagare per ricevere un trattamento di favore dalla commissione guidata da Damiani. Sempre secondo gli inquirenti l’imprenditore era interessato ad accaparrarsi i lotti più remunerativi tra i dieci messi a gara. E al contempo si sarebbe speso per promuovere, nell’ottica di uno scambio di favori, anche le sorti della Euro&Promos, ditta riconducibile a Sergio Bini, l’assessore al Turismo della Regione Friuli Venezia Giulia (non indagato ed estraneo all’inchiesta). Inconsapevoli di essere intercettati, Damiani e Salvatore Manganaro, un faccendiere che in autunno ha iniziato a collaborare con i magistrati, ragionavano sulla possibilità di mostrare a Navarra i progetti presentati dagli altri partecipanti. L’imprenditore, però, in una prima fase aveva mostrato qualche tentennamento, per timore, secondo Damiani e Manganaro, di essere coinvolto in un’altra indagine che in quei mesi – siamo a fine 2018 – aveva scosso la Sicilia: l’arresto di Antonello Montante, l’ex presidente degli industriali siciliani e, manco a dirlo, paladino dell’antimafia di facciata, poi condannato a 14 anni per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione.

Ad accertare questi fatti sarà il gup Fabio Pilato. Damiani e Navarra (ma anche Candela) hanno scelto di essere processati con il rito abbreviato. Fuori dal tribunale, invece, l’attività della Pfe va avanti come sempre. La società di Navarra ogni mese si occupa delle pulizie in giro per la Sicilia. E si fa pagare. Solo per fare alcuni esempi: a Catania il Policlnico versa circa 150mila euro; a Messina, la somma pagata dal Papardo si aggira sui 240mila; supera i 300mila la spesa mensile del Policlinico della città dello Stretto. Ma la Pfe lavora anche nelle strutture sanitarie pubbliche in provincia di Trapani, Agrigento, Palermo e nell’entroterra dell’isola.

Naturale chiedersi come sia possibile che, a fronte di queste pesanti accuse, la Pfe continui a operare in quasi tutte le province dell’isola senza che la pubblica amministrazione abbia adottato scelte che, al netto della necessità di attendere i verdetti dei tribunali, possano salvaguardare la propria immagine. La risposta è una e incontrovertibile: la società di Navarra è legittimata a lavorare dal fatto che opera in virtù di proroghe concesse dalle singole aziende sanitarie provinciali in relazione a contratti stipulati, in alcuni casi, anche più di dieci anni fa.

Ma la Pfe è solo una delle imprese che si trovano in questa condizione: da Palermo a Catania, da Messina a Ragusa, il settore delle pulizie nelle strutture ospedaliere da tempo vive una fase di stallo che, specialmente per chi la osserva da fuori, sembra interminabile. “Neanche gli scandali più eclatanti sembrano bastare per spingere a cambiare le cose. Non è da paese civile tenere un mercato bloccato alla concorrenza con rendite di posizione inaccettabili”, dichiara a ilfattoquotidiano.it un imprenditore del settore. Il motivo del costante ricorso alle proroghe deriva dal fatto che la Regione Siciliana da almeno un lustro non è in grado di aggiudicare una gara d’appalto centralizzata. Prima di quella finita nell’inchiesta della procura di Palermo, era stato, nel 2017, il Consiglio di giustizia amministrativa a stoppare l’iter di una gara di oltre trecento milioni, accogliendo il ricorso di una serie di piccole e medie imprese che lamentavano un bando troppo favorevole ai colossi delle pulizie. Ciò non significa che non si potrebbe fare un terzo tentativo. Al momento, però, la Regione ha deciso di aspettare: “Per il momento l’Avvocatura ci ha suggerito di limitarci a sospendere e non annullare la procedura finita al centro dell’inchiesta”, dichiara Antonio Lo Presti, il dirigente della Centrale unica di committenza regionale. Tuttavia pian piano qualcosa sembra iniziare a muoversi all’orizzonte. Alcune aziende sanitarie provinciali – per esempio Siracusa e Trapani, a cui potrebbe aggiungersi anche l’Arnas Garibaldi di Catania – dopo avere ottenuto l’ok dall’assessorato, hanno deciso di indire delle procedure ponte in attesa che la Regione riprenda le fila del discorso e decida cosa fare dei risultati della gara scandalo.

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