E dire che lo chiamavano ‘Sleepy Joe’: lo ‘zio Joe’ è partito a tavoletta; e, magari, qualche volta gli scappa la frizione. Quando Donald Trump lo prendeva in giro con quel nomignolo, tutti pensavamo che un po’ avesse ragione: “a decent man”, cioè – come diremmo noi – “una persona per bene”, ma un ‘posapiano’, un ‘tiramolla’, magari un po’ un ‘pappamolla’.
Invece, 60 giorni gli sono bastati per la damnatio memoriae del suo predecessore e pure per lasciare un segno nella lotta alla pandemia e la ripresa dell’economia.
E s’è anche mosso sul fronte internazionale. Fin troppo, ha ordinato il suo primo bombardamento, una ritorsione anti-iraniana in Siria, quand’era alla Casa Bianca da cinque settimane – Trump ci mise oltre dieci settimane -; ha messo in cantiere un rinvio del ritiro delle truppe dall’Afghanistan, che doveva avvenire entro il primo maggio; e, adesso, dà dell’ ‘assassino’ al presidente russo Vladimir Putin, rischiando – la frase è del Ministero degli Esteri russo – “un degrado irreversibile” delle relazioni Usa-Russia.
Agli americani, il piglio del presidente non dispiace: il consenso per Biden resta rassicurante. Secondo un sondaggio per conto dell’Ap, il tasso di approvazione del suo operato è al 60% – Trump non ci andò mai neppure vicino – e sale al 70% per la lotta contro la pandemia, mentre cala al 55% per la gestione dell’economia.
La damnatio memoriae del presidente Trump è stata presto fatta: una raffica di decreti sui fronti più diversi, l’ambiente e il clima, l’immigrazione, i diritti civili, per cancellare i decreti del magnate che, riforma fiscale a parte, aveva governato senza il Congresso, anche quando lo aveva dalla sua, nel primo biennio. E il ritorno degli Stati Uniti nella comunità internazionale, a lavorare insieme – non solo contro – alleati e interlocutori.
In parallelo, è stato lanciato un piano vaccini di straordinaria efficacia – al ritmo attuale, l’obiettivo dei cento milioni di vaccinati nei primi cento giorni della nuova Amministrazione sarà largamente superato – ed è stato varato il piano d’aiuti all’economia per superare l’impatto della pandemia (interventi per da 1900 miliardi), divenuto legge la scorsa settimana. E sono state impostate riforme dell’accesso al voto, del lavoro, delle forze dell’ordine.
Poi, c’è il fronte esteri. E, qui, con l’ausilio dell’Intelligence, Biden sceglie di prendere a muso duro l’Arabia saudita del principe ereditario Mohammed bin Salman e la Russia di Putin, piuttosto che la Cina di Xi o l’Iran di Rohani. Segnali di discontinuità rispetto a Trump, certamente: più mitigati e modulati, in Medio Oriente; più bruschi e magari sorprendenti, con la Russia. Dove c’è il sospetto che allo ‘zio Joe’ sia scappata la frizione, anche se la vicenda Navalny ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica sui modi spicci del Cremlino verso gli oppositori interni.
In un’intervista alla Abc, dopo che l’intelligence statunitense ha accusato il Cremlino di interferenze pro Trump nelle elezioni presidenziali Usa 2020, George Stephanopoulos gli ha chiesto: “Lei conosce Putin. Pensa che sia un killer?”; e lui ha risposto”: “Lo penso”. La dichiarazione, durissima e senza precedenti, testimonia un livello di tensione molto alto tra Washington e Mosca e inasprisce il rapporto. L’eco immediata è stato il richiamo a Mosca dell’ambasciatore russo negli Stati Uniti, per consultazioni: un passo diplomatico forte, anche se facilmente reversibile.
Secondo il rapporto diffuso dalla direzione della National Intelligence, che coordina tutte le agenzie degli 007 Usa, Putin autorizzò massicce operazioni per influenzare il voto e, in particolare, favorire il successo di Trump. Le conclusioni dell’Intelligence potrebbero preludere a nuove sanzioni Usa anti-Russia.
Il Cremlino respinge al mittente le accuse: “Riteniamo il rapporto sbagliato”, dice Dmitry Peskov, portavoce di Putin. “È assolutamente infondato”, “non contiene prove” e “danneggia relazioni già malate”. Il Ministero degli Esteri russo sostiene che Washington abbia spinto i rapporti Usa-Russia “in un vicolo cieco negli ultimi anni”, senza forse capire “i rischi che questo comporta”.
Nell’intervista all’Abc, Biden ricorda di avere avvertito Putin, nella loro telefonata a fine gennaio, su una possibile ritorsione per le interferenze nel voto; e non precisa quale prezzo intende fare pagare a Mosca. Aggiunge, però, che ritiene possibile “camminare e masticare una gomma”, ossia sanzionare la Russia per le interferenze e lavorarci insieme su questioni d’interesse degli Stati Uniti, come gli accordi sugli armamenti.
Il rapporto dell’Intelligence sconfessa su tutta la linea l’ex presidente Trump, che ha sempre negato aiuti russi alla sua candidatura, ha accusato la Cina di appoggiare Biden e ha sostenuto che il rischio più grande erano le frodi alimentate dai ‘nemici dell’America’. “L’ultima persona che la Russia vuole vedere in carica è Donald Trump“, disse il magnate lo scorso agosto.
Invece, l’Intelligence ora certifica che il Cremlino tifava e lavorava per lui, in cambio dei silenzi sulle violazioni dei diritti umani, delle sanzioni di facciata, del ritiro americano da scacchieri caldi del mondo. Il rapporto smentisce anche le accuse di corruzione contro i Biden padre e figlio, inserendole nella campagna russa per gettare fango sul candidato democratico.