Quello strano, imprevedibile, asse in consiglio regionale del Veneto. Non si può parlare di accordo tra la Lega e il Partito Democratico, ma sicuramente qualcosa è successo nella terra dove Luca Zaia governa incontrastato, dall’alto del suo 76 per cento di voti raccolti alla rielezione (terzo mandato) di settembre. Maggioranza e minoranza hanno approvato, pur con qualche distinguo, le rispettive mozioni che hanno come tema il Piano Regionale di Ripresa e Resilienza. La Lega aveva presentato una propria mozione a sostegno della trattativa che Zaia andrà a fare, assieme alle altre Regioni, con il governo per il Recovery Fund da 209 miliardi di euro. Si tratta di un mega piano costituito da 155 progetti, per un valore di 25 miliardi di euro, dove c’è di tutto: infrastrutture, idrovie, Tav, ammodernamento degli ospedali, perfino le Olimpiadi Milano-Cortina 2026. Il Pd ha replicato con un’altra proposta centrata sui tre assi delle linee europee – transizione ambientale, digitalizzazione e innovazione, coesione e inclusione – puntando molto sull’energia alternativa. Alla fine c’è stata convergenza reciproca.

Che bisogno aveva la Lega della non belligeranza del Pd, che in consiglio regionale ha numeri limitatissimi rispetto alla maggioranza del governatore Zaia? Probabilmente la scelta è un riflesso di una situazione politica generale, dove nel governo ci sono dentro quasi tutti e che è stato costruito proprio sulla risposta da dare alla sfida della pandemia. Ma che si tratti di un segno di discontinuità è indubbio. Infatti, lo ha colto Raffaele Speranzon, capogruppo di Fratelli d’Italia. “Il voto favorevole da parte dei consiglieri regionali della Lega e della Lista Zaia mi ha lasciato basito. Ora il Veneto parla con due voci? Non ha senso portare avanti due risoluzioni così difformi una dall’altra, anche perché i consiglieri del Pd hanno attaccato duramente la proposta avanzata dalla giunta regionale e dalla sua maggioranza bollandola come raccogliticcia, raffazzonata e fuori asse. Noi appoggiamo il lavoro della giunta. Riteniamo inconciliabili le posizioni culturali e politiche sul Veneto del post-Covid tra noi e l’asse Pd-Movimento Cinquestelle”. Speranzon accusa la Lega di essersi piegata al Pd: “La nostra voce avrebbe dovuto essere una sola, come una sola è la maggioranza uscita dalle urne a settembre, così da dare un maggiore forza alla nostra Regione anche in una fase di contrattazione già fortemente sbilanciata a favore del Sud. I veneti non hanno bisogno di ‘cortesie tra ospiti’”.

I leghisti non si scompongono. Giuseppe Pan, capogruppo della Lega, sostiene che non ci siano “crepe nella maggioranza”, ammettendo però che con FdI “partiamo da storie politiche molto diverse”. Cambi di equilibri all’orizzonte? “E’ chiaro che noi restiamo una coalizione”. Il capogruppo della Lista Zaia, Alberto Villanova, difende l’ecumenismo politico, se ha uno scopo: “Se c’è da volare alto, come in questo caso, si lavora con tutti i consiglieri di buona volontà, non mi interessano battaglie di posizione, si parla con tutti, l’importante è il risultato: portare a casa i fondi”. Ma come giustifica un cambio di rotta nel Piano regionale? “Il piano regionale è declinazione di quello nazionale, a oggi non abbiamo quello nazionale nuovo quindi siamo rimasti il più aderente possibile alle linee Ue”. La Lega ha invece respinto la parte della mozione del Pd che chiedeva un “Patto per il Veneto del 2030” con il coinvolgimento “degli enti locali, delle istituzioni e delle rappresentanze economiche e sociali”. Non ha voluto condividere – seppur solo a parole – lo scettro del potere, che tiene saldamente in mano.

Giacomo Possamai, capogruppo del Pd: “Noi abbiamo criticato il vecchio piano della giunta regionale, infatti su quei punti abbiamo votato contro. Ma abbiamo votato a favore perché ha recepito i tre assi di investimenti voluti dall’Europa. E abbiamo detto che ci vuole una vera svolta ecologica, ponendosi l’obiettivo del 100 per cento di energia rinnovabile in regione entro il 2035 e di neutralità carbonica per il 2050”. Arturo Lorenzoni, ex sfidante di Zaia e ora portavoce delle minoranze, aveva sottoscritto una terza mozione (con M5S e Verdi) che è però stata bocciata dalla Lega, in quanto troppo green. Poi però ha votato anche lui le altre mozioni. Critiche da parte di Cristina Guarda, dei Verdi Europei. “Il Piano della giunta Zaia destina solo il 27 per cento dei fondi alla transizione ecologica, mentre secondo le linee dell’Unione Europea dovrebbe essere del 37 per cento. La digitalizzazione è ferma al 14 per cento, contro il 20 per cento chiesto dall’Europa. Troppo poco”.

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