Il verdetto è stato emesso questa sera dalla I sezione penale della Suprema Corte. I supremi giudici si erano espressi anche quattro anni anni fa dopo la richiesta di revoca della sentenza
Il 5 ottobre scorso la Corte d’appello di Brescia aveva respinto la richiesta di revisione del processo. Oggi anche la Cassazione ha detto all’istanza della difesa di Alberto Stasi, condannato a 16 anni di reclusione per aver ucciso la fidanzata Chiara Poggi a Garlasco il 13 agosto 2007. Evidentemente anche per gli ermellini non ci sono prove nuove per riaprire il caso. Il verdetto è stato emesso questa sera dalla I sezione penale della Suprema Corte. I supremi giudici si erano espressi anche quattro anni anni fa dopo la richiesta di revoca della sentenza sostenendo che i giudici dell’appello dovevano riascoltare i 19 testimoni, consulenti e periti, assunti come fonti di prova in primo grado.
Quando l’istanza era stata presentata a giugno ai giudici lombardi la madre di Chiara Poggi aveva commentato: “Il colpevole è già stato trovato”. Per i magistrati dell’appello “gli elementi fattuali che si vorrebbero provare con le prove nuove non sono stati comunque ritenuti idonei a dimostrare, ove eventualmente accertati, che il condannato, attraverso il riesame di tutte le prove, debba essere prosciolto, permanendo la valenza indiziaria di altri numerosi e gravi elementi non toccati dalla prove nuove”.
Dopo due assoluzioni in primo e secondo grado, per Stasi era arrivata la condanna a 16 anni. Era il 13 agosto 2007 quando il giovane, all’epoca studente della Bocconi, chiamò il 118 per denunciare la morte della fidanzata, 26 anni, massacrata nella villetta di Garlasco, dove la ragazza viveva con la famiglia. “Un’ambulanza in via Giovanni Pascoli a Garlasco”, “credo abbiano ucciso una persona. Ma forse è viva… non lo so”, disse all’operatore. Quando i soccorsi arrivarono il cadavere era riverso sulle scale della cantina con il cranio fracassato.
Due giorni dopo il funerale, il 20 agosto, Alberto Stasi aveva ricevuto un avviso di garanzia: il reato contestato era quello di omicidio volontario. Poi la perquisizione della casa, i sequestri delle sue tre auto e due biciclette, il cambio degli avvocati e il ritrovamento di tracce del Dna compatibile con quello di Chiara che portarono alla firma del fermo per omicidio volontario da parte del pm Rosa Muscio, non convalidato dal gip, Giulia Pravon, in mancanza di prove. Infine gli appelli, che sembravano non finire più. L’assoluzione in primo e secondo grado in abbreviato: nel 2009 per “mancanza di prove”, confermata nel 2011, annullata nel 2013 e rovesciata il 17 dicembre 2014 con la condanna a 16 anni.
“I numerosi tentativi di ribaltare l’esito del processo effettuati in questi anni non hanno avuto effetto. La decisione della Cassazione conferma ancora una volta la responsabilità di Alberto Stasi al di là di ogni ragionevole dubbio” dichiara all’Adnkronos Gian Luigi Tizzoni, legale della famiglia di Chiara Poggi.