I pm capitolini, coordinati dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, durante le indagini non hanno riscontrato alcuna anomalia nell’assegnazione del procedimento nato da una denuncia di Antonio Esposito, presidente della terza sezione feriale della Cassazione che l'1 agosto del 2013 condannò in via definitiva il leader di Forza Italia per frode fiscale
Non ci fu alcuna irregolarità nell’assegnazione del processo Mediaset alla terza sezione feriale della Cassazione. Nel primo giorno di agosto del 2013 quel collegio della Suprema corte condannò Silvio Berlusconi per frode fiscale in via definitiva. A definire come legittima quell’assegnazione è la procura di Roma che ha chiesto l’archiviazione del procedimento legato alla denuncia presentata dal giudice Antonio Esposito, presidente del collegio, in cui si ipotizzava il reato di vilipendio alla magistratura. A far scattare la denuncia furono le polemiche della scorsa estate scoppiate in seguito alla diffusione di alcuni audio del giudice Amedeo Franco, relatore nel processo.
I magistrati di piazzale Clodio, coordinati dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, nell’attività di indagine hanno ricostruito i vari passaggi che portarono all’assegnazione del procedimento alla sezione presieduta da Esposito non riscontrando alcun tipo di irregolarità nell’iter. Nelle scorse settimane i magistrati hanno, invece, proceduto all’atto di chiusura delle indagini per una seconda tranche dell’indagine in cui si ipotizza il reato di diffamazione a carico di alcuni giornalisti e politici.
La vicenda era scoppiata nel giugno scorso quando Nicola Porro aveva mandato in onda – durante il suo programma Quarta Repubblica sulle reti Mediaset – l’audio di Franco, giudice a latere del processo in Cassazione, morto l’anno prima. Qualche settimana dopo la sentenza degli ermellini, nel 2013, il magistrato parlò con il leader di Forza Italia sostenendo come quella sentenza dal suo punto di vista fosse, “guidata dall’alto”, “una grave ingiustizia”, “una porcheria”. Poi lanciò alcune accuse ad Esposito che presiedeva il collegio della Cassazione, sostenendo che fosse stato “pressato” per il fatto che il figlio, pure lui magistrato, era “stato beccato con droga a casa di…”. Notizia che in realtà era falsa. Qualcuno registrò quelle parole durante il colloquio tra Berlusconi e Franco e gli audio vennero diffusi solo alcuni anni dopo i fatti.
Logicamente dopo la diffusione delle parole di Franco si era scatenato il putiferio. Da Porro intervennero Pietro Sansonetti sul Riformista, Alessandro Sallusti e Stefano Zurlo sul Giornale, Pietro Senaldi, Vittorio Feltri e Renato Farina su Libero, più altri loro colleghi. Si aggiunsero al coro i politici di Forza Italia Anna Maria Bernini, Andrea Ruggieri, Giorgio Mulè, Fabrizio Cicchitto. Come ha raccontato il Fatto Quotidiano secondo i pm hanno tutti realizzato una campagna di denigrazione costruita con commenti di “opinionisti dello stesso orientamento”, “senza dare spazio alle repliche dell’interessato”. L’accusa è aver messo sù “una ricostruzione artificiosa degli eventi” che “offendeva la reputazione del giudice Esposito”, “sulla base di prove non verificabili”.
Nel processo Mediaset Berlusconi fu condannato in primo, secondo e terzo grado per l’importazione di film dagli Stati Uniti all’Italia aveva costruito un sistema che ha “realizzato maggiorazioni di costo negli anni” di ben “368 milioni di dollari”, nascosti al fisco. I giudici hanno valutato prove, testimonianze, ma soprattutto documenti bancari. Sulla base dell’audio di Franco, registrato non si sa bene in che condizioni e diffuso solo dopo la morte del giudice (che dunque non avrebbe in alcun modo potuto chiarire le sue parole), i berlusconiani hanno provocato mesi fa una campagna di stampa con l’obiettivo di delegittimare quella sentenza: gli audio vennero pure allegati a un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Dopo la diffusione dell’audio di Franco la Cassazione aveva diffuso una nota per spiegare che l’assegnazione avvenne nel “pieno rispetto del giudice naturale precostituito per legge”. “I ricorsi vennero iscritti presso la cancelleria centrale della Corte il 9.7.2013, dopo l’arrivo del relativo carteggio dalla Corte di appello di Milano che in data 8.5.2013 aveva pronunciato la sentenza oggetto di impugnazione – spiega la Suprema corte -. In ragione della rilevata urgenza dovuta all’imminente scadenza del termine di prescrizione dei reati durante il periodo feriale, il processo, in ossequio alle previsioni di cui alla legge n.742 del 1969 ed alle relative previsioni tabellari, venne assegnato alla Sezione feriale, e quindi ad un collegio già costituito in data anteriore all’arrivo del fascicolo alla Corte di cassazione, dunque nel pieno rispetto del giudice naturale precostituito per legge”. Oggi la procura di Roma conferma: l’assegnazione del caso alla sezione feriale della Cassazione era assolutamente legittima.