I Fridays For Future tornano in piazza con lo sciopero globale organizzato da Greta Thunberg: in 62 paesi del mondo e 802 città si tengono manifestazioni per la Giornata mondiale di azione climatica, nel rispetto delle norme nazionali anti-Covid. Da Milano a Torino, da Roma a Napoli, passando per Brescia, Firenze, Genova, Cagliari, Pavia, Bologna, Catanzaro, Gorizia. “Man mano che il mondo diventa sempre più caldo – si legge sul profilo Facebook di Fridays For Future International – e mentre le calamità naturali diventano più severe e ricorrenti, dobbiamo trattare l’emergenza climatica ed ecologica come un’emergenza, il che significa un’azione immediata e #NoMoreEmptyPromises dai nostri leader mondiali”. Diverse le iniziative (anche italiane on-line), mentre l’attivista Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, dai suoi profili social ringrazia “i ragazzi che oggi tornano a parlare di clima nelle piazze svuotate dalla pandemia”. E invita tutti nella piazza virtuale del web “a firmare su www.stopglobalwarming.eu per spostare le tasse dal lavoro alle emissioni di CO2”. Ma cosa fa l’Unione europea mentre i ragazzi sono in piazza? Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha partecipato il 18 marzo al suo primo Consiglio Ambiente Ue, sottolineando la necessità di accelerare gli sforzi, ma non tutto in seno all’Unione va come deve andare. Nonostante dalla Fao arrivi un nuovo allarme, che riguarda le conseguenze devastanti dei cambiamenti climatici sull’agricoltura, dove si riversa la maggior parte delle perdite economiche e dei danni causati dalle calamità, triplicate negli ultimi 50 anni per frequenza, intensità e complessità. E questo riguarderà in modo sempre maggiore anche l’Italia.
CINGOLANI AL CONSIGLIO AMBIENTE UE – Partecipando per la prima volta, in modalità videoconferenza, al Consiglio Ambiente Ue, il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani si è detto favorevole, in tema di Strategia per l’adattamento ai cambiamenti climatici “all’idea di rafforzare l’azione internazionale”, sostenendo che “gli obiettivi di adattamento e di resilienza devono essere incorporati negli sforzi di ripresa dalla pandemia”. Per questo motivo “e per il severo monito che proviene dalla comunità scientifica sulle conseguenze dei cambiamenti climatici – ha detto il ministro – concordiamo sulla necessità di accelerare gli sforzi per sviluppare e implementare soluzioni basate sulla natura che, oltre a ridurre i rischi climatici, siano in grado di cogliere tutte le potenzialità, nella ferma convinzione che l’adattamento non sia solo un costo, ma un investimento redditizio”. Va ricordato che, solo pochi giorni fa, nel corso di una conversazione con l’inviato speciale per il clima del presidente degli Stati Uniti, John Kerry, il ministro Cingolani ha detto che il piano di ripresa italiano allocherà 80 miliardi di euro in 5 anni in progetti verdi che riguardino una accelerazione della de-carbonizzazione “con riduzioni – ha sottolineato – che potranno arrivare sicuramente al 55%, puntando al 60% delle emissioni al 2030”.
LE CRITICHE DEI VERDI – Eppure la discussione avvenuta all’interno del Consiglio Ambiente Ue sembra confermare la posizione assunta dal Consiglio dei ministri lo scorso dicembre, in merito alla riduzione delle emissioni nette del 55% al 2030, nonostante a ottobre 2020 il Parlamento europeo si fosse espresso per un obiettivo più ambizioso, un taglio del 60%, partendo da una proposta iniziale del 65%, come richiesto dalla comunità scientifica. Molto critica l’eurodeputata dei Verdi europei, Eleonora Evi, secondo cui anche l’ultimo Consiglio dei ministri europei dell’ambiente è stata “un’occasione persa, che denota mancanza di coraggio e di visione”. Per Evi, gli Stati membri “hanno mostrato una miopia allarmante per quanto riguarda il raggiungimento dell’obiettivo della neutralità climatica” soprattutto perché si rimane fermi sulla posizione di considerare le emissioni nette. Questo significa che la riduzione del 55% si può ottenere anche affidandosi (così come aveva proposto di fare anche la Commissione Ue) a pozzi di assorbimento del carbonio, i cosiddetti ‘carbon sink’, come ad esempio le foreste, per compensare le emissioni. Greenpeace aveva spiegato a ilfattoquotidiano.it che questo parametro riduce a un 50,5% il taglio reale per settori inquinanti come l’energia, i trasporti e l’agricoltura industriale. “Un escamotage che di fatto annacqua ulteriormente l’ambizione della proposta” continua l’eurodeputata, chiedendosi come mai l’Italia non assuma una posizione coraggiosa.
LO STUDIO DELLA FAO – E nelle stesse ore in cui si riuniva il Consiglio Ambiente Ue, la Fao pubblicava il nuovo rapporto, dal quale emerge che è l’agricoltura il settore su cui si riversa la maggior parte delle perdite economiche e dei danni causati dalle calamità, provocate dai cambiamenti climatici e triplicate negli ultimi 50 anni per frequenza, intensità e complessità. Parliamo di fenomeni come incendi, eventi meteorologici estremi, sciami di locuste e la stessa pandemia Covid. Secondo il rapporto l’agricoltura assorbe da sola il 63% delle conseguenze dei disastri naturali e sono i Paesi meno sviluppati e a reddito medio-basso quelli a sostenerne l’urto maggiore, ma non c’è bisogno di sottolineare, ormai, quanto nei prossimi decenni le conseguenze saranno sempre più visibili anche nel nostro Paese, dove l’agricoltura è un settore strategico fondamentale. È la siccità, di fatto, la principale causa della perdita di produzione agricola, responsabile dell’82% dei danni rispetto al 18% dei contraccolpi registrati in tutti gli altri ambiti. Seguono le inondazioni, le tempeste, i parassiti e gli incendi boschivi. Per la prima volta il rapporto ha calcolato gli impatti delle calamità sulla sicurezza alimentare e la nutrizione. Si stima, per esempio, che tra il 2008 e il 2018 il danno in termini di mancata produzione agricola e animale nei paesi meno sviluppati e a reddito medio-basso ha causato una perdita di 6.900 miliardi di kilocalorie all’anno, equivalente all’apporto annuo per 7 milioni di adulti. Quanto al futuro, per prevenire il rischio di calamità in agricoltura, secondo la Fao, i paesi dovrebbero adottare un metodo sistemico di gestione del rischio che tenga conto di più settori e più tipologie di pericolo. Impossibile, però, parlare di prevenzione dei rischi, senza una lotta ambiziosa ai cambiamenti climatici. Una lotta senza dietrofront (o escamotage).