“Macelleria sociale è una espressione rozza ma efficace e io credo che gli evasori siano tra i responsabili“. Correva l’anno 2010 e Mario Draghi, che l’anno successivo sarebbe approdato alla Bce, stava leggendo le considerazioni finali da governatore di Bankitalia. Si interruppe per continuare a braccio, aggiungendo frasi lapidarie sull’evasione fiscale: “È un freno alla crescita perché richiede tasse più elevate per chi le paga, riduce le risorse per le politiche sociali, ostacola gli interventi a favore dei cittadini con redditi modesti”. Stringato, ma apparentemente altrettanto netto, il passaggio inserito nel discorso per la fiducia al Senato, lo scorso 17 febbraio: “Va studiata una revisione profonda dell’Irpef (…) riducendo gradualmente il carico fiscale e preservando la progressività. Funzionale al perseguimento di questi ambiziosi obiettivi sarà anche un rinnovato e rafforzato impegno nell’azione di contrasto all’evasione fiscale“. Un mese dopo, le bozze del primo provvedimento economico del governo Draghi contengono quello che la sottosegretaria Maria Cecilia Guerra definisce “peggio di un condono” perché “è una cancellazione con cui si abbuonano imposta, interessi e sanzioni anche a chi potrebbe pagare”.
L’operazione che l’esecutivo ha inserito nel decreto Sostegni su richiesta di Lega e Forza Italia prevede infatti che siano stralciate tutte le cartelle esattoriali fino a 5mila euro risalenti agli anni dal 2000 al 2015 comprese quelle ancora esigibili: come ha spiegato l’ex ministro Vincenzo Visco, si tratta di “evasioni conclamate” perché quei debiti sono stati messi a ruolo dopo che il contribuente non ha pagato. Se poi la volontà è quella di aiutare chi non è in grado di saldare il dovuto, come ha fatto notare Guerra, sarebbe sufficiente limitare l’intervento a quella platea. Ammesso che chi aveva una cartella e desiderava mettersi in regola non abbia già aderito alle numerose possibilità di rateizzazione offerte negli ultimi anni.
Di condono si tratta, dunque. Eppure nel 2006, audito alla Camera sempre nelle vesti di numero uno di via Nazionale, Draghi aveva deprecato l’abitudine a “condoni e sanatorie“: “Sono stati ridotti in questa finanziaria (quella del governo Prodi, che tagliava i termini di prescrizione per i reati contabili. A fine anno il governo avrebbe fatto marcia indietro, ndr) ma ahimè non sono scomparsi…”. E ancora: ”Non sono un fiscalista ma la sensazione diffusa è che ci sia un forte squilibrio nella base imponibile e che bisogna combattere elusione ed evasione recuperando equità”. Leggi: far pagare a tutti il dovuto. Concetto ripetuto a più riprese negli anni alla guida di Bankitalia, quando Draghi ha rimarcato senza sosta l’importanza di utilizzare i proventi della lotta all’evasione per ridurre le aliquote agli onesti e per quella via aumentare il potenziale di crescita dell’economia, in un circolo virtuoso: ”I progressi nel contrasto all’evasione e all’elusione”, spiegava nel 2007, “consentono di distribuire il prelievo in modo meno distorsivo e più equo”.
In vista del cdm si è saputo che il premier avrebbe intenzione di mediare tra le anime della maggioranza. La prima ipotesi è un taglio da 5mila a 3mila euro del valore delle cartelle da cancellare e una riduzione del periodo di riferimento. Ritocco che non cambierebbe la natura dell’intervento: sempre un condono, visto non ci sarebbe alcun distinguo tra crediti fiscali davvero inesigibili – quelli che gonfiano il magazzino dell’Agenzia delle Entrate Riscossione – e ruoli che invece si potrebbe ancora tentare di recuperare. La seconda opzione è mettere un tetto al reddito Irpef dei beneficiari, cosa che indicherebbe la volontà di riservare il colpo di spugna a chi guadagna meno.