Ci sono voluti quattro anni di indagini, due anni di dibattimento e 115 udienze in Tribunale, per scrivere la prima verità giudiziaria sul crac della Banca Popolare di Vicenza. Anche se si tratta di una sentenza appoggiata sull’ineluttabile piano inclinato che porterà alla prescrizione dei reati e quindi all’impunità per i vertici dell’istituto di credito che ha fatto finire in fumo quasi sette miliardi di euro di risparmi.
La camera di consiglio è durata più di 24 ore. La sentenza è stata letta dalla presidente Deborah De Stefano, con a latere i giudici Elena Garbo e Camilla Amedoro. Quattro condanne e due assoluzioni: 6 anni e sei mesi di reclusione a Gianni Zonin, 6 anni e tre mesi a Emanuele Giustini, 6 anni a Paolo Marin e Andrea Piazzetta. Assolti Giuseppe Zigliotto e Massimiliano Pellegrini. È la conferma secondo i giudici che – seppur con qualche distinguo e con pene inferiori a quelle chieste dai pubblici ministeri – la gestione dell’istituto di credito vicentino (anche se quasi tutto il consiglio di amministrazione non è finito sul banco degli imputati) fu responsabile della perdita di valore delle azioni, totalmente azzerato, e di una gestione che aveva cercato di salvare i bilanci dai controlli, senza accantonare le poste dovute per i finanziamenti con cui la banca consentiva l’acquisto di azioni proprie da parte dei clienti. La parte delle sanzioni pecuniarie e delle confische è imponente. Nei confronti degli imputati è stata disposta la confisca fino a 963 milioni di euro, che equivale all’importo delle operazioni illecite di acquisto con autofinanziamento (“baciate”). Alla Popolare di Vicenza, in quanto responsabile civile, è stata inflitta una sanzione pecuniaria di 364 milioni di euro. A favore delle parti civili è stata fissata una provvisionale pari al 5 per cento del valore nominale delle azioni acquistate e non superiore a 20 mila euro.
Assente dall’aula il grande imputato, Gianni Zonin, presidente per più di vent’anni, ma soprattutto padre-padrone della banca, che aveva coltivato ambiziosi, ma arditi progetti di sviluppo finanziario sulla pelle dei risparmiatori. Per lui i pubblici ministeri Luigi Salvadori e Gianni Pipeschi avevano chiesto la condanna a 10 anni di reclusione. Pene di poco inferiori per gli altri imputati: otto anni e due mesi per l’ex dirigente del bilancio Massimiliano Pellegrini, per l’ex consigliere di amministrazione Giuseppe Zigliotto (già presidente degli industriali berici) e per l’ex vice direttore generale Paolo Marin, otto anni e 6 mesi per il vice direttore generale Emanuele Giustini, otto anni per il vice direttore generale Andrea Piazzetta. Imputata come responsabile civile anche la Banca. I reati contestati erano il falso in prospetto, l’ostacolo agli organismi di vigilanza e l’aggiotaggio. I responsabili di Pop Vicenza avrebbero nascosto la reale situazione finanziaria della banca e avrebbero promosso una spericolata campagna di autofinanziamento delle azioni che alla fine non ha retto. Spicca l’assoluzione di Zigliotto, che ha sempre dichiarato di essere l’unico del consiglio di amministrazione, a parte Zonin, ad essere finito sotto processo.
Le indagini furono avviate nel settembre del 2015 con un blitz della Finanza nella sede della Popolare di Vicenza. Pochi mesi dopo Zonin si era dimesso e ha continuato fino all’ultimo a rivendicare la propria innocenza e buona fede. In questi anni gli hanno sequestrato tutti i beni, per una ventina di milioni di euro. Sono state contestate dai magistrati le cessioni alla moglie o ai figli di proprietà immobiliari. La Finanza ha trovato in un conto corrente di una banca di Milano un “tesoretto” di poco più di 100 milioni di euro, parcheggiati da PopVicenza. Ma per far fronte al danno non bastano, visto che la magistratura ha autorizzato un sequestro complessivo fino a 260 milioni di euro. Basti pensare che le parti civili costituite nel processo di primo grado sono 8mila, ma i danneggiati in totale sono più di centomila. Inoltre si è costituita anche la Banca d’Italia che invece, secondo le parti civili private, avrebbe avuto un ruolo nel dissesto, non essendosi accorta dei bilanci gonfiati, nonostante le ispezioni. Quando il bubbone venne alla luce era troppo tardi. Elio Arman, dell’associazione Don Torta: “Una sentenza complessa, da analizzare con calma. La vera giustizia si avrà quando tutti i risparmiatori saranno stati rimborsati”.
Convitato di pietra, per il momento, l’ex amministratore delegato Samuele Sorato, la cui posizione è stata stralciata a suo tempo per gravi motivi di salute. Un dibattimento solo per lui è cominciato a gennaio, ed è quindi appena alle battute iniziali.