Danilo Poci racconta di essere stato costretto a chiudere la sua attività, vicina al poligono di tiro del monte Ciurlec: "A 700 metri dal punto di sparo, c'era l'allevamento con la casa. Trovavo gli animali paralizzati, con la schiena spezzata, i piccoli schiacciati dalle fattrici. Andai sul Ciurlec con un megafono". Mai ottenuti i danni indiretti: a gennaio il Quirinale lo ha informato di aver interessato il ministero. "Mi devono un milione di euro"
C’è una sola persona che non si è stupita di quanto è accaduto a Vivaro, dove un blindato dell’Esercito ha sparato per errore colpendo un allevamento di galline. Un macello. “Trentasette anni fa a me ammazzavano i conigli, a Valeriano, sulle rive del Tagliamento, nel secondo poligono italiano dopo capo Teulada”, racconta Danilo Poci. Da sempre ambientalista, negli anni Novanta quale consigliere comunale radicale a Spilimbergo contribuì all’arresto di qualche amministratore, quando pubblico ministero era Raffaele Tito, il magistrato che a Milano avrebbe indagato su Paolo Berlusconi. “A me i militari hanno distrutto un allevamento, mi hanno costretto al fallimento e a dormire in un fienile. Ma quel che ancora è peggio, dopo tanti anni di battaglie non sono riuscito ad avere un solo euro di risarcimento. “Ne hanno combinate di tutti i colori pur di non darmi quello che mi spetta. Adesso mi sono rivolto al presidente Mattarella, la mia ultima speranza”.
La storia che racconta è grottesca, se non fosse vera: “Ho sbattuto contro un muro eretto dalle Forze Armate. Io li accusavo di uccidermi i conigli e loro mi dicevano di andarmene, di spostare l’allevamento nelle retrovie. In pratica di emigrare perché dovevano fare i loro tiri al bersaglio”. Spiega, da vero friulano: “A Valeriano, nel 1983 avevo realizzato l’allevamento, lavorando sodo con le mie mani, per costruire una casa per la mia famiglia vicino a un allevamento industriale avicunicolo che valeva 75 milioni di lire. Sa quanto durò? Un anno. Poi ho dovuto chiudere”. Il perché è presto detto: “L’Esercito sparava dal fiume verso monte Ciaurlec, a 8 chilometri di distanza. Sulla linea di tiro, a 700 metri dal punto di sparo, c’era l’allevamento con la casa”. I conigli morivano, ma lui non capì subito il collegamento. “Un giorno ero rimasto a casa con la febbre. Sento uno scoppio tremendo, penso sia esploso qualcosa dentro la casa. Invece erano i cannoni in azione. Nell’allevamento trovo i conigli paralizzati, con la schiena spezzata, i piccoli schiacciati dalle fattrici”. Gli animali impazzivano dal terrore e si mettevano a saltare, fino a morire. “Così capii perché una volta al mese trovavo animali feriti o morti e perché le cure dei veterinari erano inutili”.
Non essendo tipo da arrendersi, andò a protestare. Non lo ascoltarono. Allora si mise davanti ai cannoni. “Chiamarono i carabinieri e ripresero a sparare. L’onda d’urto era tale che ad ogni colpo venivo scaraventato via. Il giorno dopo andai sul Ciarlec con un megafono. Mi cercarono nel poligono anche con un elicottero, poi spararono ancora e le bombe mi scoppiavano tutto attorno”. L’Ulss misurò in almeno 130 decibel la risonanza acustica di ogni scoppio. Aveva 200 coniglie dedite alla procreazione, valutava di produrre migliaia di animali all’anno. Chiese i danni. La risposta fu che la Difesa non pagava quelli indiretti. Il contadino delle galline di Vivaro potrà ricevere il risarcimento per danni diretti, Poci no.
Fu costretto a chiudere perché non riuscì a pagare le rate ai costruttori. La proprietà fu messa all’asta, poi venduta a 140 milioni di lire, un quinto del suo valore. “Mi affidai a un legale che, misteriosamente, andò in pensione. Scomparve anche il fascicolo con i documenti originali. Andai a Roma, scoprendo che la mia pratica non era mai arrivata e che i danni indiretti l’Esercito li pagava, in Friuli come in Sardegna”. Ma non aveva uno straccio di prova. Quando si era ormai rassegnato, la scoperta, nel 2018: “Mettendo a posto i documenti, trovo una lettera del Reparto Infrastrutture di Udine in cui dicevano che non pagano danni indiretti. È la prova che negli uffici dell’Esercito una mia pratica esisteva. Con un colpo di fortuna ritrovo lo studio dell’Ulss, che era risultato rubato. Torno a Roma, ma mi dicono che la richiesta è tardiva”. A quel punto ha fatto due cose. Prima una raffica di esposti in Procura, perché ritiene di essere stato vittima di un colossale quanto incredibile imboscamento di documenti, ma il tempo trascorso rende difficile l’attribuzione di responsabilità. Poi ha scritto al presidente Mattarella. A ottobre il Quirinale lo ha informato di aver aperto un’istruttoria, a gennaio di aver interessato il ministero della Difesa. “Speriamo… ho fatto i calcoli: l’Esercito mi deve almeno un milione di euro”.