Il polo congressuale ideato da Massimiliano Fuksas a Roma diventa il più grande centro vaccinale italiano. L’edificio dopo una serie di primati negativi – solo per citarne alcuni: oltre ai faraonici costi e ai tempi biblici per la sua realizzazione, è forse l’unico al mondo che, dopo quattro inaugurazioni da quattro diversi sindaci e un Presidente del Consiglio, continua a essere cantierizzato – trova il suo riscatto come presidio vaccinale, guadagnandosi il primato dell’efficienza e della funzionalità, e garantendo a chi si vaccina un’esperienza esteticamente di grande impatto, se si pensa agli spazi anonimi, approssimativi e sciatti delle Asl e degli ospedali romani.

Ma ha anche un altro merito: a mio avviso, dimostra con evidenza plastica la debolezza della proposta architettonica e comunicativa della campagna di vaccinazione anti-Covid19 (i padiglioni temporanei a forma di fiore) presentata dall’ex commissario Domenico Arcuri e dall’architetto Stefano Boeri, e le vezzose primule qui, trovano il loro senso nella segnaletica orizzontale, invece che “simbolo della rinascita del Paese”.

Per la campagna vaccinale la Germania prevede di usare gli spazi degli ex aeroporti e dei centri fieristici. In Israele le postazioni di vaccinazione sono allestite presso i negozi Ikea e accanto ai bar. In Spagna si pensa di allestire i presidi negli stadi e negli edifici per lo spettacolo: a Barcellona si prendono in considerazione gli spazi della Sagrada Familia; dell’impianto calcistico di Camp Nou e alcuni musei; mentre Madrid ha appena annunciato che sarà usato il WiZink Center, il moderno edificio multiuso dedicato allo sport e allo spettacolo; lo stadio Wanda Metropolitano e il Palacio de Vistalegre, un’arena coperta per la pratica della pallacanestro. In Inghilterra la cattedrale di Salisbury è stata la prima delle tre cattedrali britanniche a partecipare al più grande programma di vaccinazione della storia del Paese aprendo ai propri spazi: luogo per definizione dell’accoglienza e del conforto per la comunità, è la dimostrazione che un edificio del XIII secolo fortemente connotato, non solo può prestarsi a un uso flessibile, ma che la flessibilità non è una prerogativa degli spazi neutri o anonimi.

In tutti questi casi c’è stata una visione architettonica, la capacità di riuscire a vedere la duttilità degli spazi oltre alla loro funzione tradizionale, visione che a quanto pare in Italia è mancata se, con un errore di valutazione strategico, si è pensato di poter spendere circa 400.000 euro (1.300/mq + Iva per circa 315 mq) per dei padiglioni temporali (1500) da utilizzare come centri di somministrazione accompagnati dallo stucchevole slogan generalista “L’Italia rinasce con un fiore”. E mentre il progetto dei padiglioni temporanei prosegue il suo (lentissimo) iter, le regioni si sono organizzate con le proprie postazioni vaccinali e molte di queste hanno rifiutato “le primule” di cui, tra l’altro, non si registra ancora traccia nelle piazze italiane.

“Basta con il pensare che le situazioni d’emergenza sono incompatibili con la bellezza” dichiara Boeri, e ha ragione. Basta con i container, con le tende da campo Ferrino della protezione civile – estetica evocatrice di sventure, calamità naturali e catastrofi. Ma non è certo la risposta leziosa dei padiglioni-primule, la versione “Luxury” della tenda da campo, a rinnovare e a innovare – né funzionalmente né esteticamente – il modello dello spazio emergenziale. La pianta circolare è funzionale alla sequenza della vaccinazione, ma sarà difficilmente riutilizzabile per diversi usi futuri, e l’impegnativo e articolato assemblaggio: la struttura in legno strutturale con porte, impianti elettrici, pannelli divisori, allestimenti interni, pannelli fotovoltaici, non sembra prestarsi a modelli funzionali replicabili.

Abbiamo perso tempo: come dimostra il centro vaccinale del polo congressuale di Roma, il buon senso avrebbe suggerito che per le vaccinazioni si usassero teatri, cinema, spazi parrocchiali; centri commerciali; e non solo le Asl e gli ospedali. La diffusione capillare sul territorio dei presidi vaccinali sarebbe stata la più convincente “campagna comunicativa”, il più efficace “pay-off della campagna identitaria”, il miglior “concept”. Insomma, le buone intenzioni non bastano e i padiglioni-primule rischiano di simboleggiare l’ostensione dell’inutile.

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