Per poter accedere ai finanziamenti c'è anche un'altra regola di base: il mantenimento o l’incremento del numero dei lavoratori. Íñigo Errejón, leader di Más País: "La quarta ondata sarà quella della salute mentale”. I sindacati sono entusiasti e uno dei più importanti, l’Unione Generale dei Lavoratori, ne farà uno dei punti chiave del prossimo congresso
“La quarta ondata sarà quella della salute mentale”. Íñigo Errejón, leader di Más País, ha aperto il dibattito in parlamento sul benessere psicologico degli spagnoli. Da sempre uno dei punti nevralgici del programma politico di questo piccolo partito di sinistra, l’ex braccio destro di Pablo Iglesias in Podemos ritiene che la svolta passi per un cambiamento del rapporto con il lavoro. Su questo punto, Más País ha raggiunto un accordo con il governo per un progetto pilota che sperimenterà la riduzione della settimana lavorativa da 5 a 4 giorni, da 40 ore a 32.
Lo stop causato dalla pandemia ha ulteriormente rafforzato l’idea: “Anche le persone che non sono state colpite direttamente hanno capito che le cose si possono fare in altro modo”, dice Héctor Tejero, coordinatore politico di Más País e deputato nella capitale di Más Madrid, il movimento dell’ex sindaca Manuela Carmena che Errejón ha trasformato in un progetto nazionale. I benefici sarebbero diversi, non solo dal punto vista mentale ma anche per la riduzione dell’inquinamento: “Gli studi dimostrano che quando si ha una vita più rapida e stressante si ricorre a comportamenti più contaminanti, come mangiare fuori e prendere l’auto, invece di andare in metro”, sostiene Tejero. Alla base, c’è l’idea che il quantitativo di ore non sia direttamente legato alla produzione. In Spagna si lavora in media 36,4 ore a settimana — in Italia 35,6 — due decimi oltre la media europea, 36,2, mentre in Germania solo 34,2. La produttività tedesca è 4,5 punti superiore a quella spagnola.
Il progetto si svilupperà in un arco di tre anni di prova e coinvolgerà circa 200 imprese di media grandezza, per un numero di lavoratori che oscilla tra i 3mila e i 6mila. Lo Stato si farebbe carico del 100% dei costi della transizione durante il primo anno, del 50% durante il secondo e del 33% durante il terzo, grazie a 50 milioni di euro provenienti dai fondi europei. Per poter accedere ai finanziamenti ci sono però due regole di base: il mantenimento o l’incremento del numero dei lavoratori e nessuna riduzione di stipendio. Come ammette anche Tejero, è più facile applicare il modello in determinate aziende, come quelle per la consulenza o i call center, ma l’obiettivo è “riflettere la struttura produttiva del Paese”, includendo, per esempio, la ristorazione.
Di questo si occuperà un consorzio pubblico-privato rappresentato da imprenditori, sindacati e ministeri del governo, che gestiranno le domande e analizzeranno i risultati di tutte le aziende. Más País deciderà con l’Esecutivo la composizione di questo gruppo e i criteri di scelta in un incontro previsto per la fine di marzo. Due le possibilità: aprire un bando oppure selezionare autonomamente le attività da includere nella sperimentazione. Una volta approvata definitivamente la misura, probabilmente nel Consiglio dei ministri, si punterà a erogare i fondi entro la fine dell’anno.
I sindacati sono entusiasti e uno dei più importanti, l’Unione Generale dei Lavoratori, ne farà uno dei punti chiave del prossimo congresso. Diversa la questione che riguarda la Ceoe, il corrispondente spagnola di Confindustria: il presidente della sezione aragonese, Ricardo Mur, ha bollato l’iniziativa come “follia”. Ma da parte di Tejero c’è ottimismo: “Abbiamo ricevuto più critiche dalla destra che dagli imprenditori. C’è una parte di loro che crede che il futuro passi per un cambiamento del modello produttivo del Paese. E questo include la transizione ecologica e la digitalizzazione”.
Dalla loro parte, i promotori del progetto possono contare su un esempio recente di successo. Poco prima dell’esplosione del Covid in Europa, Software DELSOL, società di Jaen, in Andalusia, ha ridotto la settimana lavorativa da 40 a 36 ore, distribuite in quattro giorni. L’esperimento ha superato di gran lunga le aspettative: l’assenteismo si è ridotto del 28%, la produttività è aumentata e il gradimento interno dei dipendenti ed esterno dei clienti si avvicina al punteggio di 9 su 10, secondo i dati forniti dall’azienda. “Abbiamo assunto 29 persone e le aziende ci chiamano in continuazione per conoscere la nostra esperienza”, racconta Pilar Meseguer, vicedirettrice esecutiva. A Madrid, invece, María Alvarez ed Elena García hanno applicato il modello ai loro ristoranti, La Francachela, e dall’idea è nata una campagna per convincere altre imprese ad adottare lo stesso metodo.
Nel 1919, uno sciopero di 44 giorni a Barcellona ha portato la Spagna a diventare uno dei primi Paesi in Europa a imporre la giornata lavorativa di otto ore. In questo senso, la battaglia condotta da Más País per i 4 giorni si ispira a quegli eventi, nella convinzione che in futuro il miglioramento della qualità della vita si rifletta anche sulla produttività del paese. Errejón ha riassunto questo concetto in un’intervista: “Lavorare più ore non significa lavorare meglio”.