Anche in occasione della prima Giornata nazionale in memoria delle vittime del Covid si sono registrate polemiche sulle categorie a cui dare la precedenza nella vaccinazione. Un anno fa, il 27 marzo 2020, in una deserta e piovosa piazza San Pietro, Papa Francesco aveva voluto ricordare gli uomini e le donne in prima linea nel contrasto della pandemia.
Per Bergoglio, infatti, questa pagina nera della storia dell’umanità è stata “capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni, solitamente dimenticate, che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo”.
Riccardo Benotti, caposervizio del Sir, l’agenzia di informazione della Conferenza episcopale italiana, ha raccolto in un testo, intitolato Covid-19: preti in prima linea (San Paolo), le storie dei 206 sacerdoti diocesani della Penisola che sono morti a causa del coronavirus dal 1° marzo al 30 novembre 2020. Sono cappellani di carceri e ospedali, preti impegnati nelle Caritas diocesane, parroci, uomini che non sono arretrati davanti al pericolo del contagio per non lasciare sole le persone affidate alle loro cure pastorali. Come il vescovo di Caserta, monsignor Giovanni D’Alise.
Uomini che, proprio continuando a compiere il loro dovere, sono diventati degli eroi e hanno donato una bellissima testimonianza del significato autentico della loro vocazione sacerdotale. Nel libro del giornalista ci sono i loro nomi, i loro volti e le loro storie perché nessuno di essi, come le tante altre vittime del Covid, resti anonimo.
“A essere coinvolto nella strage silenziosa – scrive Benotti – è quasi un terzo delle diocesi: 64 su 225. La concentrazione delle vittime è nell’Italia settentrionale (80%), con un picco in Lombardia (38%), Emilia Romagna (13%), Trentino-Alto Adige (12%) e Piemonte (10%). Segue il Centro (11%) e il Sud (9%). Il mese di marzo è quello che registra il numero più alto di decessi (99), che rappresentano poco meno della metà del totale (48%); ad aprile la situazione migliora (27 morti) per digradare nella tarda primavera e durante l’estate (5 vittime complessive). A ottobre però la miccia si riaccende con i primi 7 decessi della seconda ondata, per poi rapidamente deflagrare nel mese di novembre con 68 morti (33%)”.
Il giornalista sottolinea che “a morire sono soprattutto i preti più anziani, con un’età media di 82 anni in linea con quella delle vittime di Covid-19 nella popolazione generale. Ma non sono soltanto i sacerdoti più fragili o ricoverati nelle case di riposo ad andarsene: oltre 40 di loro, infatti, hanno massimo 75 anni (20% del totale), ovvero l’età limite prevista dal Codice di diritto canonico per svolgere il ministero di parroco. Sono preti attivi che vivono la missione tra la gente (4 hanno meno di 50 anni), partecipano quotidianamente alle vicende del popolo di Dio loro affidato. E anche tra quanti hanno età superiore ai 75 anni, numerosi proseguono in deroga a ottemperare ai compiti ministeriali come parroci o collaboratori parrocchiali”.
Il cardinale presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, guarito dal coronavirus, che firma la presentazione del libro di Benotti, scrive che “nel tempo della pandemia, i sacerdoti hanno davvero espresso il volto bello della Chiesa amica, che si prende cura del prossimo. Hanno dato un esempio autentico di solidarietà con tutti. Sono stati l’immagine viva del buon samaritano, contribuendo non poco a rendere credibile la Chiesa”.
Gli fa eco il cardinale vicario del Papa per la diocesi di Roma, Angelo De Donatis, anche lui guarito dal coronavirus, che firma, invece, la prefazione. “Il libro – sottolinea il porporato – raccoglie straordinari racconti di vita di presbiteri animati da spirito di servizio e di donazione al prossimo che suscitano una grande ammirazione. Nel loro spendersi quotidiano, essi hanno dimostrato di essere ‘pastori con l’odore delle pecore’, vivendo il loro servizio in mezzo al popolo di Dio loro affidato”.
Per De Donatis “il loro ministero, vissuto con la fedeltà, l’umiltà e la semplicità di chi lavora senza pretese nella vigna del Signore, è motivo di vera edificazione non solo per la comunità ecclesiale, ma per tutti i concittadini. Con la spontaneità e l’ordinarietà delle loro testimonianze, essi ci rivelano il volto più bello della Chiesa”.