La maschera evocativa di Pietro Castellitto, il tono tragicomico, gli intermezzi del passato del campione e i tanti sottili intricati ironici sottotesti tra lo sportivo e il familiare per le sei puntate sull'addio al calcio del capitano giallorosso. Su Sky Atlantic dal 19 marzo
E nulla, a furor di popolo, per interpretare Francesco Totti nella serie Sky Speravo de morì prima, si sarebbe dovuto truccare Pietro Castellitto con enormi protesi tipo Christian Bale in Vice. E invece il segreto, la riuscita, il centro di gravità permanente delle sei puntate sul Pupone stanno proprio in questa maschera evocativa che Castellitto si cuce addosso senza opulente sfarzo di trucco, dal ciuffetto spiovente ai braghoni larghi della tuta, da quell’attimo di pausa prima di rispondere a chiunque fino a quel mood generale tottiano un po’ stordito, un po’ guascone, un po’ impallato.
Per carità, come sempre, precisiamolo, perché i palati fini sono un po’ dappertutto: de gustibus… Speravo de morì prima, poi, ha una precisa collocazione di genere, una specie di tragicommedia, incentrata su un tema preciso ovvero l’addio al calcio di Francesco Totti. Quindi sì il biopic si allarga a fisarmonica spesso per pescare episodi dell’infanzia o dell’adolescenza del Capitano, ma sono sfumature, giochetti, intermezzi, talvolta anche corposi blocchi (l’infortunio del 2006 costruito per 13 minuti filati all’inizio della terza puntata), ma sempre laterali rispetto alla precisa scelta narrativa e di scrittura, ad una potente presa in medias res: gli ultimi scampoli di calcio giocato, roba di mesi, all’incirca un anno, di Totti.
Oramai è stato scritto ovunque, ma ricordiamolo nuovamente aggiungendo un commento: lo scontro tra il buono e il cattivo è quello tra il giocatore e l’allenatore, qui antagonista, villain, come in un classico superhero movie anni ottanta. Quel Luciano Spalletti (Gianmarco Tognazzi, altra maschera evocativa mica da poco) che tornando sulla panchina della Roma dopo dieci anni (2006-2016) ebbe l’ardire di snobbare Totti, all’epoca suo pupillo in totale libertà, dieci anni dopo tenuto in panchina, redarguito, messo da parte, dimenticato. Scintilla apparentemente banale che però banale non è nello sviluppo drammaturgico per diversi motivi. Intanto perché pur seguendo le tappe della cronaca (della storia?) di allora le scintille tra Totti e Spalletti danno il via ad una ricca ed infinita trama di sottotesti (quelli che ad esempio mancano spesso nelle fiction di Rai1 o ahinoi con grande baldanza anche nelle grandi serie statunitensi). Parliamo della dimensione familiare del protagonista con lineetta Ilary/Greta Scarano (cruciale per rintuzzare una spallata di Spalletti e non solo), lineetta mamma Fiorella/Monica Guerritore (la grinta del clan familiare) e papà Enzo/Giorgio Colangeli (il comico preciso borbottio in sottofondo), lineetta gruppo di amici confidenti (quasi shakespeariano), l’apparizione improvvisa di Cassano (colpo di genio assoluto della serie).
Insomma dentro a Speravo de morì prima ci sono tanti fili intricati e sottili che si possono tirare a proprio gusto e piacimento senza mai perdere l’oggetto del contendere: la sfida tra l’asso che vuol chiudere la carriera in crescendo e il mister che glielo vuole impedire (ma gliel’ha davvero impedito tenendolo in panchina e facendolo entrare per pochi scampoli di partita facendogli segnare gol decisivi?). Quindi per una volta citiamo gli attenti sceneggiatori: il veterano Stefano Bises (Il miracolo – altro gioiello di intrico suddetto), Maurizio Careddu (Rocco Schiavone) e Michele Astori. Luca Ribuoli alla regia deve mettere insieme i pezzi del mito romano e lo fa con una levità per nulla stilosa (toc toc Sorrentino), battezzando qualche inquadratura ricorrente (Totti alla guida dell’auto con punto macchina di tre quarti leggermente abbassato sul cambio, per esempio), senza eccedere nella goloseria dei sosia (Lippi, Cassano, De Rossi) che diventano mera punteggiatura ironica, beffarda, di questo testo/io/ricordo tottiano gestito con il disincanto consumato di chi ha raccontato già parecchi tristi e solitari finali di partita.
Dimenticavamo: i palleggi, le punizioni, i colpi di tacco, i cucchiai, i gol di Totti sono veri. Non ci sono gli Aristoteles e gli Speroni che fingono tecniche inesistenti, ma nemmeno i Pelè in rovesciata nella Fuga per la vittoria. Speravo de morì prima non è la copia carbone degli eventi sportivi ma un serio divertissement drammaturgico (la corsa modello Rocky che finisce sul Campidoglio chiamatela come volete ma è bravura) costruito attorno all’ “archetipo” Totti, alla sua genuina autentica popolarità. Farci una miniserie di sei puntate non era per nulla facile, ma ci sono riusciti. Dal 19 marzo 2021 su Sky in prima serata.