Russia e Turchia sono pronte a un nuovo accordo per la compravendita di armamenti, dopo il contestato acquisto del sistema missilistico S-400 che fece infuriare gli Stati Uniti. Mosca ha infatti intenzione di negoziare con Ankara la fornitura di caccia Su-57 di quinta e quarta generazione, oltre che lavorare insieme per sviluppare un moderno caccia da combattimento turco che, in sostanza, prenda il posto degli F-35 non venduti dagli Usa a Erdogan per la crisi Nato esplosa dopo il precedente accordo tra Mosca e il Paese sul Bosforo. Lo ha affermato il Servizio federale per la cooperazione militare e tecnica della Federazione russa.

La prima conseguenza riguarda gli scenari euro-mediterranei, essenzialmente sul fronte Nato e Libia. Si materializza così un’ulteriore destabilizzazione dell’Alleanza atlantica, anche dopo l’avvio dell’amministrazione Biden. Il dossier relativo al sistema missilistico russo S-400 è stato il principale fattore di attrito con Washington. In un momento in cui Nato e Ue provano a cooperare anche sul tema dell’immigrazione, visto che la Turchia ha sempre in mano la carta dei 3,5 milioni di profughi siriani sul proprio suolo, le parole del Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg al Parlamento europeo tracciano una nuova linea strategica proprio verso il governo di Erdogan: “Sappiamo tutti che ci sono gravi divergenze su alcune questioni, dal Mediterraneo orientale alla decisione turca di acquistare lo S-400 russo, o in relazione ai diritti democratici in Turchia”. Come dire che un cambio anche di retorica da parte dei vertici dell’Alleanza c’è stato rispetto a sei mesi fa. Certo, Soltenberg ha aggiunto di aver creato quello che viene chiamato un meccanismo di deterrenza tra Grecia e Turchia (“Ora vediamo che abbiamo contribuito a spianare la strada a colloqui esplorativi tra Grecia e Turchia”), ma quel tavolo è stato più che altro figlio dei desiderata di Berlino.

La Nato resta sempre caratterizzata per due visioni: una che punta, sic et simpliciter, a mantenere Erdogan stabilmente all’interno del cosiddetto “cono occidentale”, con tutto ciò che ne consegue, come l’accordo con l’Ue sui migranti su cui Berlino spinge per un rinnovo e le rivendicazioni energetiche nell’Egeo. Un’altra che mostra preoccupazioni per la spregiudicata postura turca in Libia, nei Balcani e in Siria.

Proprio in Libia la Turchia è già fortissima, in virtù di una presenza progettata con cura e attuata con precisione chirurgica negli ultimi 24 mesi, quando però si è vista su un fronte opposto proprio rispetto alla Russia, legata alla fazione che fa capo al generale Khalifa Haftar. La presenza degli uomini legati a Erdogan è forte anche grazie all’utilizzo dei droni Bayraktar utilizzati dopo l’accordo marittimo firmato tra la Turchia e l’ex governo sostenuto dalle Nazioni Unite con sede a Tripoli: il nuovo primo ministro designato, Abdul Hamid Dbeibah, ha dato il via libera all’intesa che il Parlamento voterà.

È l’energia però l’obiettivo principale di Ankara, propedeutico a quello della logistica, materializzatosi attorno ai treni targati Belt and Road dalla Cina. Se gli Stati Uniti stanno diversificando l’energia in Europa, con il Gnl in arrivo in Grecia, i cinesi stanno diversificando i trasporti e i turchi vogliono essere parte attiva di quel cambiamento.

Per cui alla luce di questo quadro è verosimile ipotizzare che la nuova commessa di caccia russi alla Turchia potrà esacerbare le criticità che scaturiscono dalle politiche erdoganiane, visto che Mosca sta già offrendo un significativo contributo alla voce nucleare, con la costruzione della prima centrale in terra turca ad Akkuyu, nel sud del paese. Gli Usa non hanno gradito.

Negli ultimi giorni si è svolta nel Mediterraneo centrale e orientale un’esercitazione con la portaerei americana Dwight D. Eisenhower, impegnata in un’azione di co-addestramento di mezzi e unità di Grecia e Usa, con la partecipazione di due sottomarini greci, aerei anti som e caccia da combattimento proprio mentre facevano ingresso nel Mare Nostrum due sottomarini russi. Inoltre l’insistenza con cui gli Stati Uniti stanno spingendo la Grecia ad acquistare due fregate americane non concerne semplicemente un singolo contratto in sé, ma tocca il delicato tema dell’interoperabilità in aria e in mare anche per l’Alleanza atlantica. Uno snodo decisivo proprio riguardo al futuro del Patto e al fronte libico, atteso dalla tanto auspicata normalizzazione istituzionale.

Twitter: @FDepalo

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