Gli azzurri hanno rimediato l’ennesima figuraccia in Scozia, 32esimo ko di fila, solito ultimo posto e proverbiale “cucchiaio di legno”. Nell'ultimo decennio è stato dilapidato l’enorme patrimonio di entusiasmo, denaro, giocatori a disposizione. Adesso però forse qualcosa è successo: Alfredo Gavazzi non è stato rieletto alla guida della Federazione
L’ultima volta che l’Italia ha vinto una partita al Sei Nazioni, il coronavirus non esisteva, non c’era stata la Brexit, Trump doveva arrivare e andarsene dalla Casa Bianca. Il mondo era diverso. Dal 2015 è cambiato praticamente tutto, ma una costante resta sempre uguale: le sconfitte della nazionale di rugby. Adesso però forse qualcosa è successo. Non in campo, dove gli azzurri hanno rimediato l’ennesima figuraccia in Scozia, 32esimo ko di fila, solito ultimo posto e proverbiale “cucchiaio di legno”. Ma fuori: sabato scorso è stato eletto presidente della FederRugby l’ex capitano e dirigente di opposizione, Marzio Innocenti. Il n.1 uscente, Alfredo Gavazzi, responsabile degli ultimi otto anni di gestione, ha preso appena il 3% dei consensi. È stato praticamente “cacciato”. Persino il rugby italiano si è accorto che il rugby italiano è fallito.
Alla fine del Sei Nazioni 2019, Il Fatto quotidiano aveva dedicato una lunga inchiesta allo stato del movimento, che, nonostante le grandi risorse a disposizione, tra sprechi, sconfitte e stadi vuoti sembrava in crisi irreversibile. Purtroppo negli ultimi due anni le cose non sono cambiate. Le ragioni sono nella scelta della Federazione di puntare tutto sull’alto livello: la nazionale, le due franchigie (Treviso e Zebre) iscritte al campionato celtico, le accademie federali. Si pensava che la punta avrebbe trascinato la base della piramide. Non è andata così.
Le franchigie, che costano ogni anno oltre 10 milioni di contributi federali, sono un serbatoio di dirigenti e tecnici di medio livello: a parte un di paio stagioni di Treviso, non sono mai state competitive, e anzi le Zebre gravano interamente sul bilancio federale. Le accademie hanno sfornato tanti azzurri, ma i talenti migliori continuano ad arrivare dall’estero, senza dimenticare gli oriundi a cui si continua a ricorrere. L’idea di concentrare tutte le risorse in pochi progetti in grado di fare la differenza in teoria non era neppure malvagia, ma viene condannata dai risultati. Troppo modesti per giustificare le decine di milioni spese nell’ultimo decennio, mentre la base rimaneva stretta, intere aree del Paese abbandonate a se stesse (e non si può pensare di reggere un movimento di alto livello solo su 2-3 Regioni), il campionato di Serie A impoverito di valore tecnico ed economico. L’ultima batosta è arrivata dal Covid.
La grande colpa dell’era Gavazzi non sta tanto nelle sconfitte della nazionale, quanto nell’aver dilapidato l’enorme patrimonio di entusiasmo, denaro, giocatori a disposizione. Dieci anni fa il rugby era la disciplina del momento, di cui tutti parlavano, anche troppo e un po’ a sproposito. C’erano i Parisse e i Castrogiovanni, giocatori di livello mondiale. La nazionale perdeva quasi sempre, ma se la giocava con tutti. Oggi, nonostante la Fir sia la terza disciplina più ricca del Paese dopo calcio e tennis e possa contare su un budget di oltre 45 milioni l’anno, l’Italia non fa più parte dell’élite mondiale, entra in campo già sconfitta. Se non fosse per contratto, probabilmente non giocherebbe più nemmeno nel Sei Nazioni. Il divario dal vertice invece di accorciarsi si è allargato e ora sembra incolmabile, anche nell’immediato futuro, visto che non ci sono campioni nella squadra azzurra.
A questo disastro la politica è sempre rimasta impassibile, ma 32 sconfitte e 6 edizioni di fila all’ultimo posto erano davvero troppe per continuare ad ignorarle. Le elezioni federali sono state un po’ la presa d’atto di questo fallimento. La vera sfida in realtà era fra Innocenti e Paolo Vaccari, altro ex azzurro, che a differenza del primo è stato lungo sotto l’ala di Gavazzi. Su di lui erano convenuti i voti della continuità, visto che il n. 1 uscente aveva pochissime chance di rielezione per la legge sul limite dei mandati (doveva superare il 55%). Alle urne ha vinto la rivoluzione. E il fatto che Gavazzi si sia presentato lo stesso e abbia racimolato la miseria del 3% dei voti, la dice lunga sulla voglia di cambiamento e sul giudizio sulla sua era. Adesso si cambia. Come si vedrà, perché al di là degli slogan sulla cattiva gestione di franchigie e accademie, bisogna trovare un modo più efficace per spendere quei soldi. Innocenti dovrà far meglio di Gavazzi. Peggio, sarà difficile.