Il plenum del Consiglio Superiore della Magistratura sta per prendere in esame (23 marzo) una richiesta della Prima Commissione, competente per le indagini sui magistrati, che fa tremare il palazzo di giustizia di Trento. Ovvero, il trasferimento d’ufficio del presidente del Tribunale, Guglielmo Avolio, in servizio da più di quarant’anni, che si è occupò come giudice aggiunto del processo per la strage di Bologna e fece parte del collegio per i delitti della Uno Bianca. La motivazione: “Ritiene il Consiglio… che non possa più esercitare, in piena indipendenza ed imparzialità, le funzioni giudiziarie di presidente del Tribunale e di ogni altra funzione giudiziaria nel distretto della Corte d’appello di Trento”.

“UN TRIBUNALE SPACCATO” – Dopo l’avvio di due inchieste penali per associazione a delinquere mafiosa e collusioni con la ‘Ndrangheta, da mesi la vicenda tiene banco perché in intercettazioni telefoniche e ambientali ricorrevano i nomi di alcuni magistrati trentini, a cominciare da quello di Avolio, per incontri conviviali o di amicizia con protagonisti delle indagini. Adesso, la Prima Commissione ne fa una sintesi – in attesa del plenum e pur in assenza di risvolti penali per le toghe – che getta un’ombra e disegna una conflittualità tra giudici. Gloria Servetti, presidente della Corte d’appello di Trento, ha dichiarato il 19 gennaio al Csm: “Il presidente del Tribunale, il collega Avolio, ha sempre avuto dei problemi abbastanza pressanti all’interno dell’ufficio che dirige perché è un ufficio abbastanza spaccato… l’emersione degli esiti di questi processi penali, di queste indagini e di tutto quanto abbiamo, purtroppo, tutti letto sui giornali… questo mi ha indotto a desumere che sia aumentata un po’ questa opposizione di fondo da parte di una discreta quota di giudici del Tribunale di Trento”. In realtà le toghe finite nel mirino sono tre. Per due di loro viene proposta l’archiviazione, (una ha chiesto e già ottenuto il trasferimento a Padova), mentre per Avolio vengono individuate “plurime condotte volontarie, opache e\o inopportune” tali da giustificare il trasferimento. Avolio è stato indagato dalla Procura di Trieste, che l’11 gennaio ha però chiesto e ottenuto l’archiviazione dal gip, non ravvisando elementi di prova per i reati di abuso d’ufficio e favoreggiamento reale.

VINI & MAFIA – Tutto nasce dalla segnalazione della Procura Generale di Trento al Csm relativa a due inchieste. La prima riguarda, nel 2020, “un’ipotesi di riciclaggio aggravato dall’associazione mafiosa a carico dei titolari della nota azienda vinicola cooperativa ‘Mezzacorona’ (in primis il presidente Luca Rigotti), i quali avevano acquistato dei terreni ubicati in Acate (Ragusa) ed in Sambuca di Sicilia (Trapani), già appartenuti ai noti cugini Antonino ed Ignazio Salvo (e poi a loro prossimi congiunti e/o prestanomi), da tempo deceduti e che in vita erano stati esponenti di spicco della criminalità organizzata di stampo mafioso”. Il sequestro è del 6 marzo 2020, la società aveva presentato ricorso. Avolio avrebbe dovuto presiedere il Tribunale del Riesame, ma siccome era “legato da rapporti di buona conoscenza” con Rigotti, aveva deciso di non farlo, anche se non presentò una dichiarazione formale di astensione alla Corte d’Appello (lui ha replicato che era prassi non farlo). Inoltre, rispetto alle tabelle, fu cambiato anche un altro giudice, ma Avolio disse di non averne saputo la ragione. Secondo il Csm, quindi, c’erano irregolarità di costituzione del collegio, che poi dissequestrò i beni dell’imprenditore Rigotti, una decisione non contestata, in quanto confermata in Cassazione. Ma da telefonate intercettate era emerso il riferimento di un avvocato e dell’autista del presidente ad un “collegio ad hoc” e a una supposta “regia” dietro le quinte di Avolio. Quest’ultimo “ha replicato che si tratterebbe di maldicenze e interessate millanterie, per nulla corrispondenti al vero”, annota il Csm, che tuttavia ritiene come “il dott. Avolio, per le condotte commissive ed omissive, abbia dato la fondata percezione di una gestione opaca e parziale dell’ufficio”. Il che basta per un trasferimento. Ma si aggiungono due fatti. Pochi minuti dopo l’annullamento del sequestro da parte del Riesame, il presidente diede la notizia su un gruppo WhatsApp (denominato “Pallavolo”) dove con altri amici era iscritto anche Rigotti. Due mesi dopo Avolio andò nell’azienda di Rigotti a comperare “due cassette di vino e un po’ di mele” (pagate con carta di credito) e incontrò l’imprenditore che gli parlò del procedimento penale. Giustificazione di Avolio: “E’ stata una leggerezza”. Il Csm: “Fu un comportamento marcatamente inopportuno”.

A CENA CON L’INDAGATO – C’è un secondo capitolo scottante, che il Csm titola: “La frequentazione del dott. Avolio con l’indagato Giulio Carini”. A ottobre 2020 viene eseguita un’ordinanza di misura cautelare a carico di 18 persone, per associazione mafiosa e altri reati, che riguarda “una propaggine organizzativa trentina della cosca ‘ndranghetistica Serraino di Cardeto”. Dagli atti emergono “rapporti di diretta e abituale frequentazione con uno degli indagati”, l’imprenditore edile Carini che vive sul Lago di Garda, sottoposto all’obbligo di presentazione. Avolio partecipava a cene organizzate da Carini, che faceva anche da cuoco. Ad una di queste, nel febbraio 2020, erano presenti gli altri magistrati di cui si è occupato il Csm, in un rifugio di montagna, “Il clandestino”. Carini aveva cucinato la capra alla maniera calabrese. All’epoca era indagato e lo aveva saputo per un’erronea notifica di proroga. Scrive il Csm: “Da una conversazione potrebbe desumersi che l’intenzione del Carini fosse quella di sondare con i magistrati invitati (anche un sostituto procuratore generale e un giudice di Tribunale di Trento, ndr) lo stato delle indagini e la propria posizione”. Ci furono “battute scherzose”, ma allusive. “Carini spiega che ha detto: ‘Non voglio niente, l’unica cosa è che se per caso dovessi finire dentro, voglio essere condannato, reclusione notturna e diurna in isolamento…’”. Avolio ha replicato di non aver sentito quelle frasi e che alle cene c’erano tante autorità: “Spesso venivano il comandante dei carabinieri, il questore, il prefetto, il vecchio procuratore generale; cinquanta, cento persone… Non sapevo che Carini era indagato”.

“UN MAGISRATO OBIETTIVAMENTE SQUALIFICATO” – Il Csm è molto severo e definisce Avolio “un magistrato obiettivamente squalificato”: “Avolio chiamava il Carini con il nomignolo di ‘compare’, che nell’Italia meridionale è indicativo di particolare vicinanza e familiarità. Una certa disinvoltura e superficialità del dott. Avolio nei rapporti sociali… l’avrebbe fatto percepire sul territorio, a torto o a ragione, come una persona potenzialmente avvicinabile ed alla quale si potevano rivolgere richieste di vario genere”. Inoltre: “La frequentazione con il Carini… costituisce un fatto volontario, incolpevole sul piano giuridico e che può però obiettivamente determinare un appannamento dell’immagine di imparzialità ed indipendenza”. Infatti: “La circostanza che il dott. Avolio si sia astenuto dalla trattazione del procedimento non risulta risolutiva giacché il Tribunale da lui diretto dovrà comunque pronunciarsi su quelle indagini, su quel procedimento e sulla posizione del Carini sicché, almeno nella percezione dell’opinione pubblica, oltre che delle autorità inquirenti, le decisioni assunte potrebbero essere realisticamente messe in relazione ai rapporti non certo usuali tra un presidente di Tribunale ed un indagato/imputato di ‘ndrangheta”.

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