I sindaci del distretto di Lecco nei giorni scorsi si sono addirittura premurati di sollecitare la Prefettura che, perfino in zona rossa, ha dato il via libera agli spostamenti dei parenti degli ospiti Rsa finalizzati a far visita ai loro cari. Il prefetto Castrese De Rosa ha infatti condiviso “l’importanza di non interrompere” nuovamente la possibilità di un rapporto tra gli ospiti delle strutture e i loro “contatti vitali, che in questa fase dell’esistenza rappresentano un punto di riferimento essenziale”, come si legge in una nota datata 16 marzo. Una rarissima eccezione che conferma la regola, in tempi in cui se anche non ci fossero le zone rosse le visite agli anziani in Rsa sono merce rara quanto le sigarette al mercato nero in tempi di guerra.
Questione di scelte economiche secondo il presidente dell’associazione Felicita, Alessandro Azzoni che parla di deriva autarchica dei gestori delle case per anziani, le Rsa. Altri, come Federica Trapletti, segretaria del sindacato pensionati della Cgil della Lombardia, puntano il dito contro la cultura italiana dello scaricabarile nelle responsabilità che in questo caso vede protagonisti Regioni, governo e gestori delle strutture, con la palla che è rimasta tutta nelle mani dei direttori sanitari che non se la sentono di sostenere il peso delle proprie scelte e preferiscono sopportare quello delle non scelte. Fatto sta che la circolare ministeriale di fine novembre che invitava le case che ospitano anziani cronici non autosufficienti a non far morire di solitudine i sopravvissuti al Covid, favorendone l’incontro con i parenti, gli assistenti spirituali, i volontari, gli animatori e gli assistenti sociali, è rimasta pressoché inascoltata. Nell’indifferenza generale. E la campagna vaccinale, che nel caso delle Rsa è praticamente andata in porto, non ha cambiato le prospettive.
Rara l’eccezione di chi, come la Regione Toscana, nelle scorse settimane ha stanziato quasi 1 milione di euro in strumenti per favorire i contatti degli anziani con l’esterno come tablet, schermi, lavagne multimediali e, naturalmente, le stanze degli abbracci. La virtuosa Emilia Romagna, che lo scorso autunno aveva anticipato tutti offrendo tamponi rapidi gratis alle sue Cra (Casa residenza per anziani non autosufficienti) per poter continuare a permettere le cosiddette visite parentali protette, non pensa ancora alla luce in fondo al tunnel e conferma solo i protocolli della scorsa estate. Idem l’anzianissima Liguria, che la circolare del ministero della Salute non l’ha quasi vista e la super Asl regionale Alisa non immagina neppure di chiedere conto alle sue strutture di come viene stimolata la socialità dei loro ospiti o di inviare assistenti sociali al loro interno, o ancora di prendere in considerazione, parallelamente ai doverosi risarcimenti per le Rsa che hanno alleggerito il carico di lavoro ospedaliero, anche degli indennizzi per gli anziani sopravvissuti, sotto forma per esempio di stanziamenti per attività terapeutiche aggiuntive.
In Lombardia, poi, è peggio che andar di notte: la regione con più Rsa in Italia, oltre 700, conta solo 18 stanze degli abbracci. Le infrastrutture dal costo medio di 2.500 euro oltre l’Iva, oltretutto, ci sono solo grazie alla generosità dello Spi Cgil lombardo, il sindacato dei pensionati che ne ha fatto dono alle strutture, in alcuni casi facendo anche fatica a trovare enti disposti a installarle. Non solo, come racconta Trapletti, con l’imperversare della terza ondata nel bresciano la Regione che pure si è premurata di vaccinare i docenti universitari, ha deviato le vaccinazioni destinate ai nuovi ingressi nelle Rsa sulla zona rossa. Ma la performance peggiore è del Trentino, dove Francesca Parolari, la presidentessa di Upipa, l’associazione che rappresenta la maggior parte delle Rsa provinciali, è stata sfiduciata dal suo consiglio per aver dato il via libera alla riapertura delle visite in struttura. “Sono orgogliosa di aver concluso questa esperienza con il risultato più bello: quello di aver permesso agli ospiti di incontrare i parenti”, ha commentato a caldo l’interessata che alle accuse di aver agito in contrasto con le decisioni del cda e senza avallo dell’Apss, replica di aver avuto il via libera scritto del direttore generale dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari.
Inutile dire, poi, che nonostante la campagna vaccinale almeno per le Rsa sia conclusa o prossima alla conclusione, nessuna Regione ha ancora previsto una road map che porti un po’ di luce agli anziani ospiti delle residenze, preparandone la riapertura quando la terza ondata si sarà placata. Anzi, qualcuno fa perfino fatica a concedere appunto le visite protette che erano state codificate dall’Istituto Superiore di Sanità e da molte regioni fin dalla scorsa estate, con protocolli che prevedono gli incontri in aree delle strutture predisposte ad hoc, con la protezione di plexiglass, dei dispositivi e previo tampone rapido all’ingresso dei visitatori.
Come dire passata la festa gabbato lo santo: quando l’Italia più o meno un anno fa ha scoperto le residenze sanitarie assistenziali per anziani cronici in occasione del loro abbandono in preda al Covid, l’attenzione era molto alta sui vecchietti fragili vittime silenziose della pandemia, innescando proposte di rinnovamento per ricucire lo strappo sociale e placare i sensi di colpa, mentre le inchieste giudiziarie facevano il loro corso. Poi la vita e la non vita della pandemia hanno ripreso a correre e l’inserimento prioritario nella campagna vaccinale deve aver dato l’impressione che tutto quello che poteva rientrare, fosse rientrato. Invece no.
“Andrà così fino a quando le linee guida e gli obblighi di legge lasceranno la discrezionalità agli enti gestori: quello che la pandemia ha solo evidenziato è che le Rsa oggi sono come delle piccole cittadelle medievali in cui si alzano i ponti levatoi e i diritti e i bisogni e i servizi che dovrebbero essere erogati vengono sacrificati in nome del profitto“, sostiene Azzoni che sottolinea come dal ministero della Salute a fine anno siano uscite solo “delle linee guida, non degli obblighi per gli enti gestori che in realtà senza parenti hanno tanto da guadagnarci, perché evitano occhi indiscreti, critiche e potenziali verifiche che dovrebbero attenere alla regione, all’Ats o al comune titolare dell’accreditamento, che in questo modo viene meno”. Il presidente dell’associazione per i diritti nelle Rsa, che pure riconosce come ci siano “casi di buona volontà sparsi sul territorio”, sottolinea che “oggi le Rsa non sono purtroppo più alle cronaca, ma la tragedia non è finita. L’abbandono di un’intera fascia della popolazione nelle Rsa, dove l’isolamento sta creando altrettanti danni del virus, è l’attualità nel silenzio generale. Abbiamo perso come società, se non c’è una reazione a questo dramma, perdiamo tutti”.
Secondo Azzoni, “gli enti gestori sono barricati in questo ghetto in un silenzio totale che non dà risposte né in termini di soddisfazione delle necessità di chi vive all’interno, né ai parenti che chiedono in tutt’Italia di entrare in contatto con i propri cari e gli viene impedito. Di fatto negando il diritto alla libertà degli ospiti, quasi fossero degli innocenti prigionieri che hanno commesso il reato di essere vecchi”. Un tema quest’ultimo che Felicita ha per altro già sottoposto al garante dei detenuti e delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, secondo il quale con la chiusura imposta dal Covid “tutte le persone devono essere tutelate dall’istituzione esterna di garanzia perché sono private della libertà personale non de iure, ma de facto”, come si legge sul Manifesto del 3 settembre scorso.
Ma come mai allora le acque ancora non si smuovono? “Il governo si è limitato a rimandare alle Regioni, le Regioni rimandano alle singole Rsa semplicemente non obbligandole ad aprire né a prestare quel servizio di assistenza obbligatorio minimo che è l’assistenza psicologica – è l’interpretazione di Azzoni – È un grande scaricabarile. In ultimo ci sono le Rsa a cui viene in qualche modo data libertà di fare quello che vogliono e il più delle volte tra la scelta di aprire e non farlo, fanno una scelta basata sul profitto: acquistare una stanza degli abbracci è un onere, come lo è quello di impiegare più personale per le visite protette dei parenti che si potrebbero fare tranquillamente, ma bisogna investire. Quindi ancora una volta vediamo gli anziani trattati come righe di bilancio in una sanità votata al profitto piuttosto che alla salute, come invece è scritto nella nostra Costituzione ed ecco che su larga scala è meglio chiudere tutto e aspettare tempi migliori. Ma quale tempo peggiore può essere un anno di reclusione per persone in fragilità che non hanno altro che i propri cari per avere un contatto con la vita? Sono persone che non hanno tanti anni davanti da vivere e proprio per questo andrebbe loro garantita una migliore qualità della vita”.
Fulvio Borromei, medico Palliativista, in rappresentanza della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO), interpellato in merito sul punto, risponde che “se queste persone fragili vengono vaccinate e si riduce quello che è un oggettivo rischio di infezione, si può pensare a trovare una soluzione che permetta di vedere i familiari o persone vicine che possano migliorare lo stato psichico di questi ospiti. La nostra posizione è da una parte di tutelare l’habitat in cui vivono queste persone, dall’altra con la vaccinazione alle porte questa degli incontri è un’attenzione che deve essere concessa”.
Magari ci vorrebbe un po’ più di sostegno ai direttori sanitari che sono stati lasciati soli ad affrontare tutte le decisioni chiave: “Non dobbiamo dimenticare il prenderci cura, ma è chiaro che ci deve essere anche una condivisione delle responsabilità: ci siamo trovati di fronte a questo drammatico evento che è la pandemia e chi ha le responsabilità ne sente il peso, però credo che bisogna riflettere e ragionare sul fatto che queste responsabilità possano essere divise o compartecipate. L’ospite rimane prioritario, lo tuteliamo, ma credo che sia venuto il momento: dopo un anno abbiamo strumenti migliori per combattere la diffusione del virus, abbiamo conoscenze migliori e dobbiamo metterle in campo per poter magari migliorare il rapporto umano e il prendersi cura”, aggiunge Borromei che parla di occasione di unitarietà che stiamo perdendo: “Qua succede che tutti hanno paura di prendere delle decisioni perché poi il giorno dopo si risulta colpevoli. Bisogna modificare questa mentalità: è chiaro che se si è negligenti si è colpevoli, però se ci si muovesse insieme per affrontare un nemico storico… “.