Il direttore scientifico dell'Humanitas, tra i massimi esperti di Immunologia: "Non è pensabile a livello generale fare un test sierologico di massa perché farebbe saltare la campagna vaccinale, c’è un aspetto di carattere organizzativo da tenere in conto"
Anche chi ha già avuto il Covid (infezione confermata da test molecolare), indipendentemente se sintomatico o meno, dovrebbe essere vaccinato. Questa è l’indicazione che emerge dal documento congiunto Inail-Istituto superiore della sanità-Agenzia italiana del farmaco -ministero della Salute. Per questi soggetti “è possibile considerare la somministrazione di un’unica dose purché la vaccinazione venga eseguita ad almeno 3 mesi di distanza dall’infezione ed entro i 6 mesi dalla stessa“. La questione centrale è come capire se una persona è guarita dopo aver avuto la malattia asintomatica? Abbiamo chiesto al massimo esperto di Immunologia in Italia e il più ascoltato a livello internazionale, il direttore scientifico dell’Humanitas Alberto Mantovani.
È utile fare il sierologico prima del vaccino? Se sì, perché?
Non è pensabile a livello generale fare un test sierologico di massa perché farebbe saltare la campagna vaccinale, c’è un aspetto di carattere organizzativo da tenere in conto. I dati del lavoro svolto in Humanitas, coordinato dalla professoressa Maria Rescigno, dicono che possiamo basarci sull’anamnesi sintomatica: a chi ha fatto Covid sintomatico, basta fare una dose. La nostra indicazione, nostra e dei lavori usciti dopo il nostro, è stata recepita da Aifa e da ministero della Salute, con un risparmio di fino a due milioni di dosi di vaccino.
È stato documentato che l’Ade (Antibody-Dependent Enhancement) si manifesta attraverso due meccanismi distinti nelle infezioni virali: da un maggiore assorbimento del virus mediato dagli anticorpi “grezzi”, oppure dalla formazione del complesso immunitario che causa infiammazione aumentata e immunopatologia. Che ne pensa, può esserci correlazione tra Ade e i vaccini?
La comunità scientifica ritiene che un fenomeno Ade possa costituire un problema nel caso di una risposta immunitaria sub-ottimale. In una campagna vaccinale come quella in corso, questo rischio è ridotto al minimo e nessuno ritiene che costituisca un problema reale, al meglio delle nostre conoscenze e in queste condizioni.
Il vaccino può (sempre in percentuali rare) portare a un’attivazione immunitaria disregolata (Sirs)?
La Sirs (Systemic Inflammatory Response Syndrome) è un quadro clinico gravissimo, successivo a situazioni infettive o traumatiche, ad esempio gravi incidenti in auto. Nel caso dei vaccini abbiamo un tema di reattogenicità, cioè di quegli effetti collaterali (febbre, dolore, stanchezza) che conosciamo.
Ci sono stati casi gravi di Sirs in Italia?
Nessuno ha avuto una reazione Sirs dopo la somministrazione di vaccini anti Sars-CoV-2. Rispetto al tema della reattogenicità c’è grande variabilità individuale: sappiamo ad esempio che alcune persone sviluppano febbre alta e altri no dopo l’inoculazione del vaccino. Perché? Come prevederlo? La ricerca scientifica è al lavoro. Tempo fa abbiamo sviluppato un progetto coordinato da Rino Rappuoli, sostenuto dall’Unione Europea, per studiare fra l’altro i possibili marcatori di reattogenicità ai vaccini classici. Stiamo conducendo studi di possibili marcatori per i vaccini anti Sars-CoV-2 nella nostra coorte di Humanitas.
Nella fase 3 dei vaccini approvati da Ema ai volontari veniva fatto test sierologico, mentre questa variabile su larga scala viene a mancare. Può essere ragionevole approfondire questo aspetto sul sottogruppo dei “guariti” Covid e capire se è in questo particolare sottogruppo che si hanno statisticamente più reazioni avverse gravi? Ad esempio i long haulers, potrebbero avere minime quantità di virus ancora annidate negli endoteli, questo con il vaccino potrebbe innescare una risposta immunitaria tale da portare a reazioni avverse intense?
In coorti di soggetti ben definite, inclusi soggetti ex-Covid, sono in corso studi in cui si valuta la risposta immunitaria e la reattogenicità.