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Dal 2023 i colossi del web saranno obbligati a dichiarare i loro ricavi nei paesi europei. Consiglio Ue: “Pagheranno giusta dose di tasse”

La modifica delle norme si pone l'obiettivo di limitare le pratiche di elusione fiscale a cui queste multinazionali ricorrono massicciamente. Google paga in Italia appena 6 milioni di tasse in un anno ma la filiale domiciliata alle Bermuda guadagna oltre 20 miliardi di dollari l'anno. Le nuove norme in vigore del 2023

Passo avanti nel cammino verso un’equa tassazione dei colossi web. Il Consiglio dell’Unione europea che riunisce i capi di stato dei paesi membri ed è quindi l’istituzione europea con i maggiori poteri decisionali, ha adottato nuove regole per rafforzare la cooperazione amministrativa e fiscale in relazione ai guadagni delle piattaforme digitali. In particolare gruppi come Amazon, Google o Facebook saranno obbligati a dichiarare quanto ricavano nei singoli paesi, cosa che al momento non avviene.

Una pratica molto diffusa tra i colossi web è quella di trasferire gli utili nelle filiali domiciliate in paesi con tassazione nulla o irrisoria. Il meccanismo è piuttosto semplice, si utilizzano operazioni infragruppo, cioè tra società che appartengono alla stessa multinazionale ma sono domiciliate in stati differenti. Vengono messe in piedi compravendite di diritti e licenze che hanno l’unico scopo di far “migrare” il denaro dove più conviene. Pratica particolarmente semplice nel settore del web perché riguarda licenze su algoritmi e software a cui è difficile attribuire un congruo prezzo di mercato. Tutte le licenze di Google appartengono ad esempio alla filiale delle Bermuda che poi le cede alle varie Google Italia, Google Germania, Google Francia etc.. Così ogni anno Google holding Bermuda dichiara profitti per oltre 20 miliardi di dollari su cui il colosso Usa non paga neppure un centesimo di tasse.

Il fatto che , per di più, questi grandi gruppi non siano tenuti a dichiarare il loro fatturato paese per paese fa sì che diventi ancora più facile schermarsi alle pretese delle agenzie fiscali nazionali. In questo modo, ad esempio, le tasse pagate in Italia (o in Germania o in Francia etc) sono risibili. Nel 2019 Netflix ha pagato al fisco italiano 6mila euro, Facebook 2,3 milioni, Google meno di 6 milioni, Amazon 11 milioni. Google e Facebook insieme controllano circa il 90% della pubblicità on line.

Si capisce meglio quindi l’importanza della decisione del Consiglio dell’Ue che ha modificato la direttiva sulla cooperazione amministrativa nel settore fiscale, introducendo l’obbligo per i gestori di piattaforme digitali di dichiarare i redditi generati negli Stati membri. Le nuove regole riguardano le piattaforme digitali situate sia all’interno che all’esterno dell’Ue e si applicheranno dal 1 gennaio 2023. Le nuove norme consentiranno quindi alle Autorità fiscali nazionali di rilevare i redditi guadagnati tramite le piattaforme digitali e di determinare i relativi obblighi fiscali. “Si tratta di un importante aggiornamento delle norme dell’Ue, che contribuirà a garantire che anche i venditori attivi sulle piattaforme digitali paghino la loro giusta quota di tasse”, dichiara il ministro delle Finanze del Portogallo, Joao Leao.

“È particolarmente apprezzato – prosegue Leao – in un momento in cui vengono effettuate sempre più vendite online e la pandemia Covid-19 sta esercitando pressioni sulle finanze pubbliche. Estendendo le sue regole sullo scambio automatico di informazioni all’economia delle piattaforme digitali, l’Ue sta dando l’esempio al mondo”. “Poiché la maggior parte dei redditi o delle basi imponibili dei venditori sulle piattaforme digitali transita a livello transfrontaliero, la comunicazione delle informazioni relative all’attività pertinente garantirebbe ulteriori risultati positivi se le informazioni pervenissero anche agli Stati membri che avrebbero diritto a tassare i proventi realizzati”, si legge nella direttiva.