Un miliardo e 337 milioni di euro, dal 2015 al 2020. Circa il 60% stanziati dall’Italia, il 40% fondi europei gestiti dal nostro Paese. Tutti destinati alla migrazione lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Una somma distribuita però in modo diversificato: quasi la metà è andata al controllo dei confini, mentre appena l’1% è stato usato per implementare le vie legali, cioè l’arrivo autorizzato dei migranti su territorio italiano ed europeo. I conti li ha fatti ActionAid, tirando le fila di 317 linee di finanziamento e progetti attivi nello scorso quinquennio. Soldi erogarti da organismi governativi italiani o da enti istituzionali dell’Unione Europea.
“È la prima volta che si cerca di quantificare e qualificare la spesa nazionale per l’azione esterna in materia migratoria. Noi abbiamo mappato questa cifra, ma la consideriamo una stima al ribasso. Infatti, le informazioni sulla distribuzione di queste risorse pubbliche sono frammentate e poco dettagliate. Ci siamo impegnati per raccogliere tutte quelle consultabili, richiedendo l’accesso alle altre”, spiega Roberto Sensi, coordinatore del lavoro d’inchiesta. Il quadro che emerge è quello di una destinazione dei soldi per lo più al contenimento del fenomeno migratorio: “Perché i fondi sono andati a finanziare il freno all’immigrazione, chiudendo l’accesso all’Italia e all’Europa. Al contrario, si è fatto poco per sostenere chi cercava di arrivare secondo principi di legalità”.
E infatti la ricerca si chiama The Big Wall, ‘Il Grande Muro’. Lo studio ha monitorato la spesa esterna, ovvero quella che risponde a obiettivi di natura migratoria realizzata nei Paesi terzi, suddividendola in otto categorie: cause profonde, controllo dei confini, governance (sostegno alle autorità di paesi terzi affinché adottino misure di gestione del fenomeno migratorio), protezione, sensibilizzazione sui rischi delle migrazioni irregolari, anti-trafficking (iniziative volte a contrastare la tratta e il traffico) rimpatri e vie legali. La classificazione è stata compiuta facendo riferimento a interventi inseriti nelle strategie di azione esterna nazionale ed europea, come il Valletta Action Plan e il Fondo Africa.
Alle voci “sensibilizzazione” e “vie legali” appena il 2% delle somme – La voce che assorbe più risorse, come detto, è il controllo dei confini. Secondo i dati raccolti da ActionAid rappresenta il 49,83% della spesa totale, cioè 666.314 milioni di euro. Seguono, ma a grande distanza, le spese dedicate alla gestione delle cause profonde che sono all’origine delle migrazioni e che hanno ottenuto il 14% dei soldi, e poi la governance con il 10%. A scendere le altre categorie. Basse le quote destinate alla sensibilizzazione (1,1%) e alle vie legali (1,1%). In valori assoluti, le somme destinate a quest’ultima voce ammontano a circa 15 milioni. “Anche i fondi destinati alle altre categorie sono comunque rivolti al freno del fenomeno migratorio e dei confini. Per esempio, i soldi destinati alla cooperazione e allo sviluppo (cause profonde) in molti casi sono andati non ai Paesi più poveri e più bisognosi, ma a quei Paesi rilevanti per origine e transito dei migranti. I finanziamenti venivano dati se i governi si impegnavano al contenimento della propria emigrazione”, prosegue Sensi.
ActionAid individua perciò una deviazione e un condizionamento nella destinazione delle somme: “Non vanno a creare sviluppo dove realmente necessario, ma in quei Paesi prioritari per la lotta al fenomeno migratorio”. Un esempio è il Niger, fra le aree più povere del mondo secondo l’Indice di Sviluppo Umano delle Nazioni Unite. Fino al 2016, si legge su The Big Wall, ottiene circa 10 milioni di euro (contro i 47 e 32 milioni di Etiopia e Sudan, che ricevono le quote più sostanziose). Le cose cambiano cinque anni fa quando Agadez, terza città del Paese, diventa un centro di passaggio per i migranti che vogliono raggiungere l’Europa attraverso la Libia (confinante con il Niger). Si stima che nel 2016 siano transitate circa 300mila persone. “E allora sono stati mandati 50 milioni con il Fondo Africa, un finanziamento ibrido di cooperazione e controllo delle frontiere”, continua Sensi.
“Ridefinire l’approccio alla materia, spostando l’accento sulle vie legali” – The Big Wall non arriva in un momento qualunque: si è da poco chiuso infatti il Quadro finanziario pluriennale (QFP 2014 – 2020) ossia il bilancio Ue di lungo termine, che definisce quanto viene investito nelle politiche volte a rafforzare l’Europa. Ora si apre la strada al prossimo (2021 – 2027). “Il nuovo budget potenzia gli stanziamenti sulla migrazione, confermando la strategia finora adottata: controllo delle frontiere, cooperazione con Paesi terzi, rimpatri. Temiamo perciò che le problematiche legate alla negazione dei diritti umani su questo specifico tema potranno moltiplicarsi, dato che ci saranno maggiori finanziamenti ma sempre sulla stessa linea degli anni precedenti”, spiega Sensi. Il budget europeo dei prossimi sette anni prevede infatti oltre 22 miliardi da destinare ai paesi membri per il capitolo migrazione e gestione frontiere. ActionAid propone alcune raccomandazioni per cercare di utilizzare i soldi futuri in modo differente e più attento ai diritti umani. Fra queste c’è la necessità di aumentare la trasparenza: “Cioè fornire più informazioni su come e quanti fondi vengono spesi, rendere pubblici i documenti redatti nel corso di accordi fra Italia e Paesi terzi. E poi è necessario dotarsi di un meccanismo di monitoraggio, anche indipendente, sui programmi che vengono finanziati”, chiude Sensi. Ma un punto emerge, su tutti: “Ridefinire l’approccio alla materia, spostando l’accento sulle vie legali. Forse non ci pensiamo abbastanza: l’unico modo per evitare i rischi dei flussi irregolari, tanto temuti, è aprire i canali regolari”.