Si sale in subdolo silenzio, si scende urlando. E’ il “carro di pickipò”. Il carro di pickipò è un’espressione nata a Napoli verso la fine della seconda guerra mondiale, tante volte ripetuta da mia mamma. Dalla stazione della città, la gente vedeva partire verso la Germania i treni dei deportati. Una scritta tedesca indicava il campo di concentramento di destinazione: un nome impronunciabile per i napoletani che provvidero, appunto, a storpiarlo in pickipò. Su quei treni gli abitanti di Napoli vedevano salire a forza centinaia di loro concittadini di ogni estrazione sociale, di cultura e religioni diverse, ammassati, pigiati, privi di tutto.

Da allora in poi nel gergo napoletano l’espressione carro di pickipò si usa per indicare tante persone, con idee diverse, in partenza per un viaggio non certo agevole e la cui meta è sconosciuta, tutte con una gran voglia di tornare a casa. Il carro di pickipò può essere quindi considerata la metafora moderna di un convoglio su cui si viaggia tutti insieme, senza gerarchie, con tanta voglia di vivere e di condividere un percorso che non è certo facile ma che ognuno arricchisce con le proprie diversità, uniti da quel sentimento comune che si chiama solidarietà.

Si narra, però, che sul “carro di pickipò” ci fossero anche i “traditori”, quei fiancheggiatori dei gerarchi nazisti che avevano denunciato i deportati per la loro presunta diversità. Si, salirono anche loro abbagliati dalle promesse, anch’esse subdole, dei criminali nazisti. E furono fregati.
Da qui la trasformazione, complice la fantasia e la saggezza napoletana, della metafora originale nella più verace allegoria del carro della confusione e dell’opportunismo.

E’ quanto sta succedendo nelle ultime ore a Napoli nei confronti di Rino Gattuso. Dopo averlo massacrato di critiche, ora silenziosamente quegli stessi detrattori si stanno avvicinando al carro di pickipò. Critiche che non riguardavano, se non limitatamente agli approssimati (per le competenze) risultati, aspetti calcistici ma, come ho già rilevato su queste colonne, ricercavano le loro motivazioni in aspetti antropologici, sociologici, culturali e politici. Assurdo.
Si sono letti (e si leggono) commenti ed analisi che trasudano piacere e gioia dopo una sconfitta del Napoli.

Meravigliati persino della capacità di Ringhio di avere una stampa favorevole nonostante i risultati non soddisfacenti, gli hanno contestato anche una “captatio benevolentiae” dettata solo dal suo passato glorioso di calciatore. Senza mai riconoscere che Gattuso è qualcosa di diverso, finalmente, nel panorama della comunicazione calcistica.

Mi astengo, nonostante appartenga alla folta schiera degli oltre 50 milioni di commissari tecnici del nostro paese, da una analisi tecnico-tattica perché occorrono competenze che neppure i detrattori di Gattuso hanno. Non hanno mai frequentato il supercorso di Coverciano, non hanno mai giocato a calcio (neppure tra i dilettanti) e fanno confusione tra pressing e pressione andando a cercare su Google le relative definizioni.

Se proprio volete parlare di “altro”, allora voglio esagerare. Così come fanno loro, i detrattori. Voglio esasperare un concetto che riguarda la narrazione del personaggio Gattuso. Cosi come scritto su L’Occidentale, “parafrasando un celebre film diretto da Christopher Nolan, si direbbe che Rino Gattuso è l’eroe che non meritiamo, ma anche quello di cui abbiamo bisogno. Nell’atteggiamento di Ringhio c’è tutto quello di cui il Belpaese, anche a livello istituzionale, avrebbe bisogno nella fase post pandemica: tenacia, sacrificio, capacità di soffrire, spirito comunitario, leadership, intelligenza tattica, fiducia nei mezzi a disposizione, capacità di fare gruppo, senso di appartenenza e carattere sfidante.”

Aggiungo che a Napoli e nel Napoli, per tali motivi, avremmo ancora bisogno di Gattuso. Il presidente De Laurentiis faccia una profonda riflessione al riguardo perché, con riferimento alla efficiente gestione finanziaria della squadra e alla analisi prospettica dei conti della società, occorre ripartire da un progetto basato su calciatori giovani, motivati e “potenziali”.

Non si lasci abbagliare dalle sirene degli (ex) grandi allenatori che, reduci da grandi vittorie (prima di Napoli), dopo Napoli (dove hanno fatto peggio di Ringhio), non hanno vinto nulla. Quelli sono abituati a gestire i grandi campioni che noi non ci possiamo permettere. Così come non pensi alle minestre riscaldate alla Maurizio Sarri che, negli ultimi anni, ha mangiato troppo caviale per ritornare ad accontentarsi del panino con la mortadella.

Ripensi a Gattuso (se mai abbia abbandonato quel pensiero) perché, oltre ad esser un buon tecnico, ha qualità di condottiero, di guida, di leader che non devono essere cercate, per il momento, solo per il momento, nel suo curriculum ma nella sua “biografia”. Perché, come ripete Pier Luigi Celli, mio ex capo e maestro, “le situazioni davvero importanti e i fatti decisivi per la vita avvengono prevalentemente nella ‘biografia’ e non nel curriculum. E sono questi fatti che costruiscono, più o meno, le caratteristiche personali stabili in grado di influenzare, verso il meglio o verso il peggio, il valore dei dati curriculari e le carriere”.

E presto avremo una conferma. Perché appena i risultati saranno di nuovo contrari, torneranno a scendere in tanti, urlando questa volta, dal “carro di pickipò”. E il buon Ringhio continuerà a non mollare un centimetro.

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