Da una parte Dazn che offre 840 milioni stavolta per tutto il campionato in streaming (7 partite in esclusiva, 3 in condivisione), dall’altra Sky con 750 milioni per satellite e digitale terrestre: i presidenti sono divisi, con i piccoli che vogliono puntare ancora sui fondi d'investimento
Non è ancora il giorno di Dazn (che poi vuol dire Tim) e la fine dell’era di Sky. I diritti tv della Serie A sono sempre appesi a un filo. A cinque giorni dalla scadenza di due offerte, entrambe irripetibili e che infatti non capiteranno più, i presidenti sono divisi e non riescono a decidersi. Mancano solo quattro mesi all’inizio della prossima stagione, e ancora non si sa chi trasmetterà le partite del campionato. La Serie è spaccata praticamente a metà. Da una parte Dazn che offre 840 milioni stavolta per tutto il campionato in streaming (7 partite in esclusiva, 3 in condivisione), dall’altra Sky con 750 milioni per satellite e digitale terrestre (ma non internet, dove c’è il divieto del Consiglio di Stato, per cui in parallelo partirebbe anche un “canale della Lega” online). Rivoluzione o tradizione: il dubbio è grosso.
In realtà la vera spaccatura (o almeno una parte di essa), non è tanto fra le due proposte: quella di Dazn è più ricca e soprattutto ha alle spalle la potenza economica e tecnologica di Tim, quindi sembra destinata a prevalere, tanto che su Sky non è mai stata fatta nemmeno una votazione (secondo alcuni pareri sarebbe addirittura inammissibile perché condizionata da alcuni “paletti” non previsti dal bando). I patron continuano a litigare perché alcuni di loro, in generale i club più piccoli, e più disperati per il Covid, spingono per accettare l’offerta dei fondi di investimento capitanati da Cvc, che hanno messo sul piatto 1,7 miliardi di euro per acquistare il 10% della parte commerciale del torneo. Un progetto a cui il presidente Dal Pino ha lavorato per mesi e che sembrava praticamente approvato, ma che è scivolato in secondo piano dopo che l’asta per i diritti tv si è rivelata così ricca. Tra i presidenti contrari (come Lotito) e quelli che hanno cambiato idea pensando alla SuperLega (tipo Agnelli), la cordata dei fondi è finita in minoranza. Le due partite si sono intrecciate.
Il ricatto è “niente diritti tv senza fondi” e viceversa. Lo stallo che va avanti da settimane. Anche perché alla voglia di incassare i soldi dei private equity si aggiungono i dubbi sull’affidabilità di Dazn, che già all’inizio della sua esperienza aveva avuto grossi problemi, li ha superati pian piano ma trasmettere tutto il campionato e non solo tre partite sarebbe un’altra storia. Certo, adesso dalla sua ha Tim, una delle più grosse aziende italiane, che ha deciso di investire sul pallone per portare il Paese sulla fibra (e al contempo stroncare pericolosi rivali). Sky però resta una garanzia e mantiene dei fedelissimi in assemblea, come Sampdoria, Sassuolo, Roma. Alcuni club preferirebbero rimanere con la pay-tv, o trovare una soluzione di compromesso (cioè almeno lasciare a Sky le 3 partite che Dazn dovrà comunque condividere con qualcuno).
Così non se ne viene a capo. Le trattative proseguono ma l’ennesimo tentativo si è risolto in un nulla di fatto: rispetto alla settimana scorsa, Dazn ha rosicchiato un altro voto (ora è a quota 11, più il Cagliari che sarebbe favorevole ma si è astenuto perché chiede più condivisione). Comunque non riesce a toccare quota 14, necessaria per vincere. I presidenti si rivedranno venerdì, sperando sia la volta buona. A questo punto non si può escludere nemmeno un ultimo tentativo in extremis lunedì, giorno della scadenza delle offerte. Altrimenti bisognerà rifare da zero il bando, ad aprile, rinunciando a due offerte irripetibili, col rischio concreto di andare al ribasso, in un momento in cui già dall’estero arriveranno meno soldi. A piccoli passettini, la Serie A si avvicina verso Dazn. O verso il baratro. Deve ancora scegliere.