L'inchiesta della Finanza: i danni all'ecosistema marino della zona andava avanti da oltre 30 anni. In tutto gli indagati sono un centinaio. Nei soli due mesi di lockdown, secondo quanto ricostruito, avevano raccolto 8 quintali di molluschi venduti a prezzi tra i 100 e i 200 euro al chilo al mercato nero
Durava da oltre 30 anni l’aggressione all’ecosistema del Golfo di Napoli e dei Faraglioni di Capri, spesso con l’uso di martelli a percussione ed esplosivi, per pescare di frodo i datteri di mare (Lithophaga lithophaga), pregiati molluschi bivalve della famiglia Mytilidae, venduti anche a 200 euro al chilo. La Guardia di Finanza di Napoli, dopo accurate indagini durate circa tre anni, ha arrestato 12 persone che facevano parte di due organizzazioni, una napoletana e l’altra stabiese-caprese, che da decenni distruggo i litorali partenopei e il loro ecosistema. Dalle indagini è emerso che le operazioni illegali di prelievo del dattero dai Faraglioni dell’isola azzurra hanno provocato una desertificazione dell’ecosistema (sia flora che fauna) sul 48 per cento delle pareti subacquee dei famosissimi simboli di Capri, prima ricoperte di vita, e ora desertificate.
Per i reati di associazione a delinquere aggravata finalizzata alla consumazione di delitti ambientali, inquinamento e disastro ambientale, danneggiamento e ricettazione, sei persone sono finite in carcere e altre sei ai domiciliari, mentre altri indagati sono stati sottoposti al divieto di dimora all’obbligo i firma. In tutto gli indagati sono un centinaio, tutti membri delle due organizzazioni, ai quali il Reparto Operativo Aeronavale dei finanzieri hanno sequestrato tre locali commerciali, usati per nascondere i datteri pescati di frodo, tra Napoli e Castellammare di Stabia. La Finanza ha anche sequestrato una somma di denaro ritenuta profitto della vendita, due natanti utilizzati per recarsi sui punti di prelievo della specie protetta e tutta la strumentazione usata per estrarre il dattero dalle rocce calcaree. I pescatori di frodo non hanno risparmiato neanche i molluschi che vivevano nelle acque torbide del Porto di Napoli.
Nel corso delle intercettazioni, durate qualche mese, è emerso che le attività di estrazione sono andate avanti anche durante il lockdown e che le due associazioni erano riuscite in soli due mesi a estrarre 8 quintali di molluschi venduti tra 100 e 200 euro al chilogrammo sul mercato nero dei datteri di mare. L’inchiesta si è avvalsa anche del contributo di due esperti di biologia come il professor Giovanni Fulvio Russo, presidente della Società Italiana di Biologia Marina e il professor Marco Sacchi, dell’istituto Scienze Marine del Cnr. Una attività nella quale è confluito e adoperato tutto l’impianto accusatorio elaborato di recente in materia di delitti ambientali, che si poggia, tra l’altro, sulle convenzioni internazionali dell’Unione europea e delle Nazioni Unite tese a tutelare l’ecosistema e le specie marine.
La distruzione di ecosistemi per la pesca illegale di datteri di mare riguarda anche altre zone, come il comune di Vietri sul Mare, sulla Costiera amalfitana, che ha denunciato danni analoghi ai due scogli-simbolo del litorale, i Due Fratelli. A ricordare l’importanza di preservare questi ambienti è intervenuta anche Fedagripesca-Confcooperative:”Per un piatto di linguine ai datteri si distrugge un quadrato di fondale di 33 cm per lato, un gesto criminale che danneggia l’ambiente e mina la salute dei consumatori perché immette sul mercato prodotti ittici non tracciati”.