Il legale è andato subito nel carcere di Monza per incontrare Corona, "che sta proseguendo lo sciopero della fame". E ha riferito: "Non ho mai visto le dimissioni da un ospedale con trasferimento in carcere alle 23, mai visto un trasferimento in carcere notturno in 35 anni di carriera, se l'hanno fatto per problemi mediatici o di clamore sono ancora più sconcertato"
Fabrizio Corona “sta molto male, sono 12 giorni che non mangia, è imbottito di psicofarmaci e si regge a malapena in piedi, mi chiedo dove è finita l’umanità in questo Paese, non riconosco più il mio Paese”. A dirlo è il suo avvocato, il legale Ivano Chiesa, che ha commentato così il trasferimento, avvenuto poche ore fa, dell’ex re dei paparazzi nel carcere di Monza dopo una decina di giorni di ricovero nel reparto di psichiatria dell’ospedale Niguarda di Milano, perché si era ferito quando aveva saputo che i giudici della Sorveglianza avevano revocato il differimento pena in detenzione domiciliare, a lui concesso a fine 2019.
Il legale è andato subito nel carcere di Monza per incontrare Corona, “che sta proseguendo lo sciopero della fame“. E ha riferito: “Non ho mai visto le dimissioni da un ospedale con trasferimento in carcere alle 23, mai visto un trasferimento in carcere notturno in 35 anni di carriera, se l’hanno fatto per problemi mediatici o di clamore sono ancora più sconcertato”. E ha concluso: “Sono senza parole, non capisco più lo Stato in cui vivo”.
A sostegno di Corona ha preso posizione anche Carlo Lio, garante dei detenuti di Regione Lombardia: “Il caso di Fabrizio Corona e il clamore mediatico che ne è conseguito consente al mio ufficio, l’autorità garante, di riproporre all’attenzione generale un tema gravoso e urgente come quello della patologia psichiatrica e della possibilità di cura nei contesti carcerari. Ricordo che la salute e la dignità delle persone ristrette in carcere è affidata all’istituzione e farsene carico nel migliore dei modi è un dovere e, al contempo, un indice che qualifica la nostra società”, ha fatto sapere in una nota.
“L’esperienza che ho maturato – ha proseguito Lio – mi porta ad affermare che, all’interno degli istituti di pena, le persone a cui è stato diagnosticato un disturbo psichiatrico difficilmente riescono ad ottenere trattamenti adeguati. I garanti sono costantemente impegnati nel tentativo di risolvere le criticità che si riscontrano nelle strutture carcerarie e alcuni macroproblemi impongono di riflettere non sulla gestione del quotidiano ma sul sistema nel suo complesso. La finalità della pena è sempre la riabilitazione degli individui ed è orientata, per principio, al reinserimento dei condannati in un possibile contesto socio-lavorativo. L’idea di un carcere meramente punitivo per fortuna non appartiene alla nostra civiltà giuridica“.
“Le persone che presentano patologie psichiatriche sono tra le categorie più fragili, esposte alle carenze strutturali del sistema e per costoro andrebbe formulato un progetto concreto, predisposto da una équipe di professionisti, comprensivo di professionalità cliniche. Questo percorso non può prescindere dalla presa in carico sanitaria del soggetto e dall’individuazione del luogo più idoneo al percorso riabilitativo formulato, che spesso non è compatibile con le strutture detentive carcerarie – ha concluso -. Si auspica pertanto che le valutazioni tecniche psichiatriche e psicologiche dei clinici concorrano a determinare le misure più idonee individuate dai magistrati per i soggetti che presentino una diagnosi di patologia psichiatrica acclarata”.