di Lorenzo Giannotti

Tiene banco in questi giorni la simpatica querelle sulla vicenda dei capigruppo di Camera e Senato del Partito Democratico. Riprendendo dalle poco accattivanti puntate precedenti, ricordiamo che l’ex Segretario Nicola Zingaretti lasciò il posto di comando non più tardi di venti giorni fa, dichiarando che il partito era diventato un distaccamento della sede degli “artigiani della qualità”: quelli delle poltrone. Il neo Segretario Enrico Letta, invece, spinto dall’entusiasmo delle novità – come avremmo fatto tutti noi – si mette a cambiare i nomi delle varie cariche del partito, tenendo conto dei sofisticati equilibri interni e di genere.

Nessuno fa un fiato. E vorrei vedere, penserete voi, questi stanno all’ultima spiaggia attaccati al respiratore; figuriamoci se hanno ancora le forze di dimenarsi. E invece quando Enrico Letta, usando l’intramontabile “scusa” delle quote rosa, vuole cambiare il capo dei senatori, questo non sembra avere nessuna intenzione di schiodarsi. Il battagliero Andrea Marcucci, dopo alcuni giorni di assenza, si palesa e su Facebook si rivolge con un’accorata missiva direttamente a Enrico Letta: “Caro Enrico ti scrivo” comincia così il Lucio Dalla di Palazzo Madama. Un papiro che racconta la storia, invero assai mesta, di questa legislatura, delle proprie gesta (“fu io”, licenza poetica), dei suoi compagni senatori e giungendo alla fatidica conclusione: Enrico accetto consigli, ma no grazie.

I commenti al post stanno a consolidare il proverbiale polso dell’elettorato che gran parte della dirigenza piddina padroneggia con sapienza rara. “Gli iscritti e gli elettori del Pd apprezzerebbero un suo passo indietro per favorire l’elezione di una donna come richiede il Segretario”. Un altro: “Mai una parola di autocritica, ma il problema di fondo è chi lavora dall’interno del Pd per Italia Viva. Ogni riferimento è casuale”. C’è anche chi fa lo spiritoso, spirito di patata direbbe la mia maestra delle elementari: “Che fortuna immensa è stata averla come capogruppo. Ho imparato tantissime cose leggendola. Grazie per i servigi. Ora può andare… grazie. Saluti”. Ancora: “È da tre anni che come capogruppo sta ostacolando il percorso di rinnovamento del Pd. I senatori decidano da che parte stare. Faccia un passo di lato”.

Questo è l’ultimo solo perché ho appena trovato qualcosa di meglio da fare che stare a guardare i commenti sotto a un post di un capogruppo – con tutto il rispetto che si deve ai capigruppo – del Pd: “Basta, diamo fiducia al rinnovamento che propone il Segretario Letta e a una stagione nuova, serve a tutte e a tutti per rilanciare il Pd, ha ben fatto Delrio”. Potrei andare avanti all’infinito se solo non dovessi lavare quella montagna di stoviglie ammuffite che giace esanime nell’acquaio della cucina provocando dei lezzi nauseabondi, ma mi pare già abbastanza esaustivo per spiegare il tafazzismo del capogruppo più capogruppo dei capigruppo.

Mio figlio di quattro anni mi fa: “Papà ma è chiaro che dopo tutto il casino che hanno fatto, ora debbano seguire quello che dice il nuovo Segretario (che presumibilmente sarà anche l’ultimo) senza fare un fiato perché gli elettori ne hanno le palle piene delle correnti e delle correntine”. Lo so figlio mio, lo so, ma vaglielo a spiegare a quelli. Comunque, non ti tediare con queste pallosità, ché stasera ci guardiamo un bel film: “Salvate il soldato Marcucci”.

E poi c’è chi sta peggio di noi, pensa a chi quella sagace letterina non solo dovrà leggerla infliggendo supplizio mefitico ai propri bulbi oculari, ma dovrà pure darle una risposta.

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