Negli ultimi giorni Repubblica (numeri del 16, 21 e 22 marzo scorsi) ha dedicato ampio spazio al recente insediamento nel Comune di Foggia della commissione di accesso del ministero dell’Interno incaricata di accertare l’esistenza o meno di infiltrazioni mafiose nell’amministrazione comunale. L’ingresso dei tre commissari, un vice prefetto, un funzionario della Polizia di Stato e un ufficiale dei Carabinieri, è clamoroso in una provincia, quale quella di Foggia, in cui già sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose tre importanti comuni. Mandare a casa anche l’amministrazione comunale del capoluogo – che peraltro conta circa 160.000 abitanti, quindi non di importanza secondaria – rappresenterebbe una sconsolante chiusura del cerchio.
Nessun amministratore comunale foggiano risulta, a oggi, indagato per aver commesso reati, ma il quotidiano romano riporta stralci della relazione ministeriale, in cui si parla di “collegamenti dei gruppi criminali con alcuni pezzi della politica”. La connection deriverebbe da indagini effettuate da Polizia, Carabinieri, Finanza e Dia che hanno ricostruito gli ultimi anni della criminalità nella città. In particolare, si fa riferimento a condizionamenti della malavita organizzata nel settore dei lavori pubblici, della gestione dei tributi, dei servizi cimiteriali, di videosorveglianza urbana e delle tornate elettorali.
L’attenzione è rivolta specialmente alla videosorveglianza delle strade cittadine. A quanto si legge, infatti, alcuni giorni fa in una conferenza stampa lo stesso procuratore della Repubblica Ludovico Vaccaro avrebbe parlato di un mancato incremento del sistema di videosorveglianza riconducibile ai contatti fra criminalità organizzata ed esponenti dell’amministrazione comunale. E dalle indagini sembra che le interdittive antimafia emanate in questi anni dal prefetto Raffaele Grassi abbiano dato non poco fastidio ai clan, tanto da spingere loro membri a cercare di limitarne gli effetti attraverso aderenze con esponenti del Comune.
Naturalmente, in una situazione così grave e complessa la politica non poteva non fare la propria parte. Infatti immediatamente i consiglieri comunali di minoranza hanno chiesto le dimissioni del sindaco Franco Landella, in area Lega. Il quale però non solo ha replicato di non avere intenzione di fare alcun passo indietro, ma al contrario si è dichiarato soddisfatto della presenza della commissione d’accesso, in quanto “aiuterà a diradare le ombre” sull’amministrazione comunale. Ma, sempre su Repubblica di ieri 22 marzo, si legge che il primo cittadino respinge con forza le accuse di qualsiasi sottomissione personale e amministrativa al volere dei clan, dichiarandosi pronto a ribatterle punto per punto e preannunciando querele nei confronti del quotidiano Repubblica. Si legge, inoltre, che egli imputa la scarsa videosorveglianza cittadina alla precedente amministrazione comunale, addebitando quindi ritardi e carenze al periodo antecedente al 2014.
Che nella città di Foggia agiscano le batterie della Società Foggiana è cosa risaputa, e chi scrive auspica da tempo azioni serie nei confronti della malavita organizzata. Il rischio, infatti, è che fra qualche anno clan foggiani e narcos messicani scambino coca e milioni di euro in combutta con la ‘Ndrangheta. Certo, l’input dato dal prefetto Grassi con l’invio della commissione di accesso è sicuramente forte e va in quella direzione.
Ora la grossa responsabilità di accertare i fatti è tutta sulle spalle dei tre funzionari, che dovranno scoprire se, negli ultimi anni, l’azione amministrativa e politica del comune di Foggia sia stata pilotata dalla mano di gruppi egemoni della criminalità organizzata che hanno agito da burattinai. Ovviamente non abbiamo una sfera di cristallo che consenta di saperne di più circa le indagini riservate alla base dell’accesso, ma non possiamo che augurarci che la commissione faccia piena luce sull’operato dell’amministrazione comunale di Foggia.
I foggiani perbene, e sono la stragrande maggioranza, meritano di saperlo presto.