Gli esseri umani, come tutti gli animali, sono progettati per affrontare i pericoli o battere in ritirata se il divario di forze è eccessivo. Questo è possibile, individualmente o in gruppo, elaborando strategie e gerarchie adeguate che per funzionare hanno bisogno di individuare l’elemento minaccioso. Un nemico visibile può far paura, ma permette di organizzare un comportamento adeguato, di lotta o di fuga, mentre un nemico invisibile è una minaccia ubiquitaria, impalpabile e terrorizzante, che paralizza la possibilità di difendersi, scatena uno stato di allerta e di ansia e costringe a rimanere in una costante difesa armata, nell’incertezza di sapere da dove arriverà il colpo.

Da circa un anno ci troviamo in una strana situazione, c’è qualcosa di nocivo nell’aria, o meglio nell’aria emessa dal respiro di chi ci sta vicino. Questa è una differenza non da poco perché tendiamo a prendercela con il vicino e non con l’aria. Fino all’avvento dei vaccini, ancora non proprio a regime, non abbiamo potuto combattere, potevamo solo premunirci coprendo il naso e la bocca, distanziandoci. “Distanziarsi” significa stare lontano dall’altro, con il rischio che diventi uno stile di vita fobico ed evitante.

L’interiorizzazione del distanziamento, se diventa una parte integrante del nostro modo di essere, può comportare ripercussioni che condizionano profondamente i nostri processi adattativi: se la distanza è la salvezza possibile, per non soffrire la lontananza dalle persone che amiamo, tenderemo inconsciamente ad opacizzare gli affetti. Progressivamente si può sviluppare una disaffezione generalizzata, un’ulteriore attenuazione di quella “propensione” verso l’altro, già in crisi ben prima che spuntasse il Covid. Da tempo stiamo facendo i conti con un’umanità di adulti, bambini e adolescenti che, sentendosi sola, preferisce un incontro digitale, sempre disponibile, ad un incontro concreto, con le sue regole e i suoi tempi.

Anche l’ultimo baluardo della scuola in presenza, il simbolo dello sviluppo della socialità rischia, ad alterne vicende, di essere indebolito. Ma c’è di più. In questo periodo la casualità e l’imprevedibilità degli eventi è accresciuta in molti ambiti della nostra esistenza, lavoro, salute, aspetti economici, amicizie, con un effetto destabilizzante sul nostro sistema nervoso e mentale. Tutto questo è al momento inevitabile, ma dobbiamo domandarci in che misura questo processo potrà cambiarci in modo irreversibile, rendendo impossibile un ritorno alle origini quando tutto sarà finito.

Tutti noi, compresi bambini e adolescenti, siamo spesso ambivalenti fra l’andare verso e il ritirarsi in sé, fra una socialità in presenza e una socialità a distanza attraverso i social. La distanza forzata può trasformarsi in una “abitudine alla distanza” che potrebbe non esaurirsi con la fine del lockdown, perché i tempi della mente razionale non corrispondono a quelli della mente emotiva. Le scorie mortifere di questo periodo potrebbero permanere nel nostro inconscio, destoricizzate ma attive, favorendo una diffusa opacità emozionale, una diminuzione dell’altruismo, una maggiore diffidenza e indifferenza. Sicuramente la sua memoria rimarrà come uno dei tanti anelli che si aggiungono alla catena del male della storia e che possono sembrare quiescenti, ma sono in grado di risorgere se nuove condizioni epocali ne forniranno l’occasione.

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