Per ogni chiamata che si chiude, ce n’è un’altra in attesa. È sempre così, una martellante e incessante richiesta di aiuto. Bisogna capire e scegliere in pochi minuti: ambulanza sì, ambulanza no. Poco dopo le 5 del pomeriggio il termometro dell’allarme per il dilagare del Covid nella provincia di Bari è nel flusso ininterrotto di telefonate che impegnano gli operatori nella stanza della Centrale operativa del 118. È la prima trincea contro il virus e “con grande difficoltà”, ammette la responsabile Anna Maria Natola, bisogna occuparsi di tutte le altre richieste di intervento. Il Covid non ferma infarti, emorragie cerebrali, incidenti.
L’emergenza è nei dati proiettati su un televisore nel suo ufficio. C’è l’ambulanza ‘inchiodata’ al pronto soccorso del Policlinico da 150 minuti, ci sono le linee degli interventi già effettuati da inizio giornata, che ha superato quota 200. Ci sono i numeri che la dottoressa Natola conosce a menadito: “In tempi normali arrivano 1000-1.200 chiamate al giorno per le province di Bari e di Barletta-Andria-Trani. Ora siamo attorno a 2mila di media, con un picco, lo scorso 13 marzo, di 2.900 telefonate raccolte”. L’incremento delle richieste di aiuto da parte di sospetti Covid o casi già conclamati è iniziato a fine febbraio e dal 5 marzo “abbiamo iniziato a viaggiare su queste cifre”. Il “filtro” dei suoi uomini screma e valuta: “Siamo nell’ordine dei 280 invii di ambulanze al giorno, ieri abbiamo effettuato 318 missioni, tre quarti delle quali erano per Covid e in 144 necessitavano di ricovero”. L’età media dei pazienti positivi, spiega Natola, si aggira attorno ai 60-65 anni: “Si è abbassata e oggi vediamo molti 50enni e 40enni che richiedono ospedalizzazione”.
Dall’altro capo del telefono a rispondere ci sono, a turno, 7 medici e 26 infermieri. “Saremmo 31, ma qui a novembre è scoppiato un focolaio e abbiamo ancora 5 operatori in malattia”. Per avere sempre tutte e 6 le postazioni operative, ci vorrebbero “almeno 40 unità”, sottolinea Natola. “Siamo messi a dura prova. I nostri operatori stanno lavorando a un livello critico, pesante – spiega – Siamo ai doppi turni, agli straordinari. Ma siamo combattivi”. La prima linea non può cedere ora, mentre la Puglia ha sfondato i 2mila pazienti ricoverati con sintomi e altri 224 sono assistiti in terapia intensiva. Un’ospedalizzazione così massiccia non si era vista neanche a novembre. E oltretutto in buona parte concentrata proprio nel Barese, tra Monopoli e Trinitapoli, con le altre province che per adesso tengono e danno una mano, per quanto possibile.
E non è finita, secondo Natola, che l’onda l’aveva vista da lontano: “In uno degli ultimi week end in zona gialla, tornando a casa, lungo la superstrada, all’altezza di Monopoli, c’erano le auto in coda nelle aree più turistiche per la corsa al pranzo fuori prima della serrata…”. Adesso, neanche un mese dopo, i telefoni della centrale operativa non dormono mai: “I prossimi dieci giorni saranno i più critici e intanto i tempi della nostra risposta si sono allungati”. Sul campo sono operativi 67 mezzi, 53 ambulanze e 14 automediche. Il loro è un continuo andirivieni, intervallato solo dalla sanificazione. “In questo momento tutti i mezzi sono assegnati, significa che non ne abbiamo a disposizione”, spiega indicando lo schermo nel suo ufficio dove l’emergenza si traduce in numeri e diagrammi. “Al di là dell’alto numero di chiamate verso la centrale operativa, stiamo vivendo anche un’altra criticità, i tempi di attesa nei pronto soccorso. La pressione è notevole e aumentano i minuti impiegati mediamente per lo sbarellamento”. In altre parole: l’ambulanza arriva, ma deve attendere la presa in carico del paziente. Negli scorsi giorni si è arrivati anche a 12 ore di fermo.
Di fronte alla guerra, Natola ha riorganizzato la sua truppa: “Abbiamo più uomini qui al centralino e abbiamo messo più mezzi in strada, grazie ai sostitutivi delle associazioni che fanno parte del sistema del 118 – racconta – Se, come è capitato, il paziente è costretto a rimanere sulla barella dell’ambulanza, l’equipaggio sale sul mezzo sostitutivo e torna operativo”. C’è preoccupazione? “Mi chiedo chi non la provi in questo periodo. La pressione è alta, sia qui che nei pronto soccorso”. Si torna sempre ai numeri: “Nel 2019 abbiamo gestito circa 300mila chiamate, nel 2020 sono diventate 440mila e quest’anno, visto come siamo partiti, sicuramente batterà il record”, dice ancora Natola soffermandosi sul grande lavoro psicologico che gli uomini del 118 sono chiamati a svolgere, di telefonata in telefonata.
In centrale operativa, nell’approccio con i parenti dei positivi: “Quando arriva la chiamata è perché il malato mostra dispnea oppure ha ormai febbre alta da 10 giorni”. Una situazione allarmante da gestire, ma alla quale medici e infermieri sono abituati, fronteggiando quotidianamente, anche prima del virus, situazioni di emergenza. Mentre gli equipaggi delle ambulanze, nell’ultimo periodo, si sono imbattuti in un nuovo fenomeno: “Diversi pazienti Covid rifiutano il ricovero, hanno paura di entrare in ospedale e non vedere i parenti. L’idea di lasciare casa e dover affrontare da soli la malattia spaventa molti di loro”. Natola sostanzia il concetto con gli appunti sparsi sulla scrivania: “Solo lunedì è successo con 60 contagiati. Per noi avevano parametri da ospedalizzazione, ma hanno preferito rimanere a casa”. Si rivolgono al medico di base o alle Usca, ma non va sempre bene: “Capita che il giorno dopo chiamino di nuovo per richiedere l’intervento, quando ormai le loro condizioni sono estremamente critiche”. La centrale operativa prende la chiamata, l’ambulanza parte a sirene spiegate. Comincia una nuova corsa contro il tempo in questa trincea di pettorine arancioni.
Twitter: @Mary_Tota e @andtundo