Il caso della senatrice che ha riscosso un bonus da 240 euro, come rimborso per l’emergenza Covid, scuote ancora la Lega in Veneto. Se da un lato il partito è intenzionato a varare una decalogo di comportamento per evitare che si ripetano situazioni imbarazzanti, dall’altro ha deciso di mettere fine, con pugno fermo, alle polemiche ed esternazioni interne. D’ora in poi, a pena di espulsione, tutti dovranno attenersi a questa semplice regola. Non parlare male dei capi, non criticare in pubblico le scelte adottate, non mettere in cattiva luce i dirigenti. La Liga Veneta – Lega per Salvini Premier vuole presentarsi come un partito monolitico, nonostante sia ormai chiaro a tutti che la conflittualità tra il segretario federale milanese e il super-votato governatore Zaia ha ormai contribuito a creare due fazioni abbastanza distinte.
Il casus belli è quello di Sonia Fregolent, la senatrice che è anche consigliere comunale di Sernaglia della Battaglia (Treviso) dove ha chiesto e ottenuto un bonus-rimborso comunale (ma con fondi regionali) per le spese del centro estivo frequentato dal figlio. Una briciola rispetto a quello che guadagna un parlamentare della Repubblica, ma politicamente non un’inezia. Infatti l’assessore regionale Roberto Marcato, quando i giornali hanno scoperto la vicenda, aveva detto: “Ci vuole una sanzione adeguata”. Si è così riunito a Noventa Padovana il direttivo del partito che ha deciso, come da regolamento, di inviare il malloppo al consiglio federale a Milano, competente quando ci siano in ballo parlamentari o militanti di lungo corso. Nessuna sanzione, nessun salvataggio, soltanto l’applicazione delle norme, ma anche l’impegno a varare un codice di “buone pratiche”, come il divieto per chi guadagna più di 10mila euro al mese come parlamentare di intascare benefici per famiglie in difficoltà.
Ma il direttivo ha esaminato anche il clamore suscitato dalle dichiarazioni di Antonio da Re, già segretario regionale, oggi eurodeputato, uomo vicino a Zaia. Aveva criticato in un’intervista il fatto che nel governo Draghi il Veneto abbia solo un ministro di secondo piano (Erika Stefani) e nessun sottosegretario. A differenza della Lombardia che ha fatto incetta di poltrone. Da Re attribuito la causa alla scarsa esperienza del commissario regionale Alberto Stefani, giovanissimo, voluto pochi mesi fa proprio da Salvini. Così ha rischiato grosso, per quella che è apparsa come una valutazione disfattista nella guerra sotto traccia tra veneti e lombardi che ha sempre accompagnato la storia leghista. Molti avrebbero voluto la testa di Da Re, ma alla fine c’è stata solo una censura collettiva a parole, senza sanzione disciplinare. Sarebbe stato uno schiaffo a Zaia, troppo popolare e potente. Eppure Stefani ha redarguito il vecchio militante: “ Qui non processiamo nessuno, però non ci sarà una seconda volta. La Lega in Veneto si occupa delle necessità dei veneti e di progetti per far crescere il partito”.
Tutti avvertiti. L’unica che non lo sapeva è una militante del Veneto Orientale che aveva scritto post polemici all’indirizzo di Zaia e Salvini. E’ stata espulsa perchè “chiunque aderisce al Movimento è consapevole che ci sono delle regole e la più importante è che in Lega non c’è spazio per divisioni, attriti e inutili polemiche. La Lega è una squadra che si muove all’unisono”. Più che una motivazione, sembra una regola per tutti gli altri: vietato parlare contro.