Sul depistaggio delle indagini sulla strage di via d’Amelio tornano ad allungarsi le ombre dei servizi segreti. Ad evocarle è stato Angelo Fontana, collaboratore di giustizia e già esponente di una delle storiche famiglie di Cosa nostra, quella dell’Acquasanta: “Mafiosa da quattro generazioni”, come ci ha tenuto a sottolineare il pentito. Che è intervenuto in videoconferenza al processo per il depistaggio della prima inchiesta sulla strage di Paolo Borsellino e degli uomini della scorta. Alla sbarra ci sono tre poliziotti, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, tutti accusati di calunnia aggravata in concorso. Secondo l’accusa, i tre avrebbero “indottrinato” il falso pentito Vincenzo Scarantino a rendere dichiarazioni fasulle. “Si diceva che Gaetano Scotto avesse contatti con i servizi segreti…”, dice Fontana, rispondendo alle domande dell’avvocato Giuseppe Seminara, che difende Mattei e Ribaudo. Gaetano Scotto, ufficialmente imprenditore edile del quartiere Arenella a Palermo, è ritenuto da diversi pentiti come il trait d’union fra i vertici di Cosa nostra e servizi segreti.
E oggi, al processo di Caltanissetta, il collaboratore Fontana ha confermato: “Ai primi anni Novanta, diciamo tra il ’91 e il ’92, Scotto girava con un maggiolone Volkswagen nero. Parlando con Nino Pipitone gli dicevo: Chissu chi va a fare a Montepellegrino? U guardone?””. Cioè: cosa ci va a fare a Montepellegrino, il guardone. “Pipitone – continua Fontana – mi diceva che andava, invece, a trovare degli ‘amici, facendo capire che si trattava di uomini dei servizi segreti. Nei giorni scorsi il boss Gaetano Scotto, che nel processo di Caltanissetta si è costituito parte civile perché accusato falsamente da Scarantino, è stato rinviato a giudizio per l’omicidio del poliziotto Antonino Agostino e della moglie Ida Castelluccio.
Il nome di Scotto è tornato più volte nelle indagini sui mandanti occulti della strage Borsellino, del 19 luglio 1992. È dal telefono di Scotto che il 6 febbraio del 92 parte una chiamata al castello Utveggio di Palermo, la scuola per manager Cerisdi che avrebbe nascosto una struttura dei servizi. Un fatto quest’ultimo mai acclarato. Scotto è tornato in carcere un anno fa dopo un blitz della Dda contro la famiglia mafiosa dell’Acquasanta. Tornato libero a gennaio del 2016, Scotto è accusato di aver ripreso in mano il comando della famiglia mafiosa dell’Arenella. economico perché sarebbe stato in parte dilapidato il suo patrimonio. (segue)
Nel corso dell’udienza di oggi è stato controesaminato dal procuratore aggiunto Gabriele Paci anche il poliziotto, oggi in pensione, Vincenzo Maniscaldi. Che dopo le stragi fece parte del gruppo investigativo ‘Falcone e Borsellino. “Vincenzo Scarantino era molto geloso della moglie. Quando ero in servizio a San Bartolomeo al Mare meno stavo in casa è meglio era. E quando la moglie doveva uscire per fare delle incombenze allora preferivo che andasse solo la nostra collega donna”, ha detto ancora Maniscaldi. Oggi il procuratore aggiunto Gabriele Paci ha mostrato i brogliacci delle intercettazioni a Maniscaldi chiedendo di riconoscere la grafia dei colleghi che avevano firmato i documenti. “Questa grafia è di Mattei – dice – la riconosco perché abbiamo fatto insieme le squadre del fantacalcio”. Dichiarazioni che sono già agli atti del processo. Parlando ancora di Scarantino ha spiegato che “era un tipo molto particolare ma io non ho mai avuto problemi con lui”.
Poi l’ex ispettore ha ricordato il periodo in cui la Polizia venne a sapere della ritrattazione di Scarantino. “La scoprimmo solo per caso nel 1998 – ricorda – Stavamo facendo delle intercettazioni ambientali a casa di Gaetano Scotto, che era latitante, e ascoltammo una conversazione della moglie di Scotto che lamentava di dovere tirare fuori dei soldi per pagare il legale di Scarantino dopo che quest’ultimo aveva deciso di ritrattare. Noi sapevamo già da maggio che Scarantino avrebbe ritrattato”.