Tra il sacro e l’illecito, così si muoveva la famiglia mafiosa di Borgo Vecchio a Palermo, dedita all’organizzazione della festa di Sant’Anna, santa protettrice del quartiere. Da un lato la Santa, dall’altro lo spaccio di droga, la gestione di furti e prostitute. Tutto si intreccia, secondo quanto hanno portato alla luce i carabinieri, coordinati dalla procura di Palermo, con un’indagine che stamattina all’alba ha fatto scattare misure cautelari per 14 persone: 1 in carcere, 11 ai domiciliari e 2 obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria. Accusati a vario titolo di concorso esterno in associazione mafiosa, traffico di sostanze stupefacenti, furti, ricettazione ed estorsioni consumate e tentate, tutti reati aggravati dal metodo mafioso e sfruttamento della prostituzione.
Si tratta di una seconda tranche dell’operazione “Resilienza”, coordinata da un pool di pm, diretto dall’aggiunto Salvatore De Luca. Un’ulteriore tappa delle indagini del nucleo investigativo e del nucleo informativo dei Carabinieri di Palermo sul mandamento mafioso di Porta Nuova e, in particolare, sulla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, il quartiere nel cuore di Palermo.
Dalle indagini è emerso come degli eventi non religiosi in onore della madre di Maria la mafia organizzasse praticamente tutto, perfino scegliendo i cantanti neo melodici, preferendo tra tutti il cantante, e parente, catanese Leonardo Zappalà, travolto dalle polemiche nel 2019 perché durante il programma Realiti, andato inonda su Rai 2 aveva usato parole perlomeno infelici riferendosi a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: “Queste persone che hanno fatto queste scelte di vita, le sanno le conseguenze”, aveva detto Zappalà nel giugno del 2019, creando così molti problemi per l’organizzazione dell’evento, che infatti sarebbe stato vietato dalle Autorità.
Concerti, estorsioni, furti e prostituzione: un calderone ai limiti del blasfemo, in nome del guadagno. “Vedi che fin quando ci sono io questo non deve cantare più”: era Cosa Nostra, infatti, che decideva quale cantante neomelodico poteva esibirsi. Uno spaccato che sottolinea come il controllo mafioso fosse a tutto tondo, compresi i festeggiamenti dedicati alla santa protettrice del quartiere. Così accadeva fino al dicembre 2015, quando sono stati arrestati Domenico e Giuseppe Tantillo, ritenuti reggenti della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, e allo stesso tempo alla guida del “comitato” per i festeggiamenti dedicati a Sant’Anna. E così continuava ad accadere pure dopo l’arresto dei Tantillo. All’interno del quartiere centrale di Palermo si imponevano partecipazioni in soldi all’organizzazione della festa: “Facciamo la riffata… dobbiamo arrivare a 20mila euro”, questa è una delle conversazioni intercettate dai militari palermitani che hanno portato alla luce, secondo una ricostruzione della procura condivisa dal gip, come si è svolta la festa di Sant’Anna dal 25 al 27 luglio del 2019. Quando cioè assieme al rito religioso, il quartiere si animava di concerti di cantanti neomelodici. Tutto organizzato da un comitato che, di fatto, era controllato da Cosa Nostra.
I mafiosi, infatti, sceglievano e ingaggiavano i cantanti e, attraverso le cosiddette “riffe” settimanali, raccoglievano le somme di denaro tra i commercianti del quartiere. 20mila euro che venivano impiegati, oltre che per l’organizzazione della festa e l’ingaggio dei cantanti, anche per rimpinguare la cassa del gruppo criminale ed essere, in tal modo, utilizzate per il sostentamento dei carcerati e per la gestione di ulteriori traffici illeciti. All’interno di questo contesto si muoveva Salvatore Buongiorno, agente di numerosi cantanti neomelodici, che rispondeva alle precise indicazioni di Angelo Monti, considerato reggente della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, come emerso dalla prima fase dell’operazione, e Jari Massimiliano Ingarao, nipote e uomo di fiducia di Monti. Da loro Buongiorno riceveva ordini su chi ingaggiare, quanto dovevano essere pagati e su dove mettere il palco. Per conto loro, secondo quanto ricostruito dagli investigatori, andava negli esercizi commerciali del quartiere per imporre la dazione di denaro per i concerti in onore della Santa. Tutto venendo ricompensato con la gestione in via esclusiva nella zona, autorizzato da Tommaso Lo Presti, dai fratelli Gregorio e Tommaso Di Giovanni e da Monti.
“Germania, Inghilterra, Francia, sono tutti… è bloccato! Per passare è un macello! Io questo lo vendo 5mila al chilo in Francia… io scendo dalla Spagna boom… io se prendo una tonnellata (di stupefacente, ndr) non è tutta per l’Italia… io devo accontentare… perché i clienti ce li ho… io passo Milano, Roma e poi scendo…”. Dal piccolo quartiere nel centro del capoluogo siciliano al resto dell’Italia e dell’Europa, le conversazioni registrate dai militari palermitani portano alla luce un commercio esteso ben oltre i confini di Palermo. Con evidenti riflessi allo stadio: “Saverio mi ha attaccato! Dice: “Ora ti faccio la guerra!”… la guerra? Si arriva al punto che si chiude la curva nord e allo stadio non ci va più nessuno!”, così parla Ingarao, rivelando il potere della “famiglia” sullo stadio del Palermo.
E tra gli indagati di oggi ci sono due capi ultras. Sesto Terrazzini e Johnny Giordano, che vengono menzionati durante l’interrogatorio di Marcello Trapani, ex procuratore di calciatori, oggi collaboratore di giustizia, che racconta ai pm come la vendita dei biglietti fruttasse soldi alla mafia: “Perché le dico i nomi e cognomi? Perché Johnny Giordano e Sesto Terrazzini vengono pagati dal Palermo. A quanto pare il Palermo gli paga uno stipendio un po’ per gestire tutta la situazione, diciamo, dei tifosi… Il Palermo Calcio dava, ora non so chiaramente, cento biglietti per ogni club, cento biglietti omaggio. Che in realtà questi biglietti, loro dicono, escono regolarmente per i club”. Così la mafia all’entrata dello Stadio fa i soldi con i biglietti della partita: “Loro cosa fanno?” – continua Trapani – Si prendono i biglietti, questi biglietti che sono nominativi risultano nella lista del Palermo. no? Quindi risultano che questi ragazzi sono entrati, ma loro cosa fanno? Materialmente non gli danno i biglietti, li facevano entrare gratis, questi biglietti li davano come bagarino e se li rivendevano. Specialmente nelle partite clou, per dire, un biglietto di curva andava a costare anche cento euro, ottanta euro, non so. Ora, c’è la partita con l’Inter? Vedrete che i prezzi dei bagarinaggi saranno esorbitanti. Biglietti di tribuna che costano cento di listino, costano quattrocento euro. E loro a ricavare le venti, le trenta, quarantamila euro…”.
Monti aveva affidato ad Ingarao l’intero settore dello spaccio. E quest’ultimo, nonostante fosse sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, è riuscito a organizzare e coordinare tutte le attività funzionali al traffico, reperendo le sostanze stupefacenti, principalmente sul canale di fornitura con la Campania, e a rifornire le varie piazze di spaccio del quartiere. Delegando, a seconda dei ruoli, i fratelli Gabriele e Danilo, Marilena Torregriossa, Carmelo Cangemi, Francesco Paolo Cinà, Saverio D’Amico, Davide Di Salvo, Giuseppe Pietro Colantonio, Salvatore La Vardera, Francesco Mezzatesta, Giuseppe D’Angelo, Nicolò Di Michele, Gaspare Giardina, Gianluca Altieri e Vincenzo Marino. Niente poteva accadere nel quartiere senza il controllo mafioso e senza una percentuale di guadagno da garantire all’associazione, compreso il furto di bici e moto che dovevano essere autorizzati dalla “famiglia” alla quale andava la parte di provento del noto metodo del “cavallo di ritorno”, ovvero la richiesta di riscatto del proprio mezzo rubato, dietro pagamento di una cifra in contanti.