Stamattina ho salutato mia figlia che avviava il pc per le sue lezioni digitali. È il giorno di Dante, ho pensato. E questi ragazzi saranno tutti presenti, ma ognuno a suo modo assente, di fronte a una potenziale lettura di versi del Poeta in qualche piazza di qualche città; ciascuno di loro isolato da un ascolto collettivo, lontano da teatri, spazi di unione, metriche di condivisione.

Sbatto gli occhi, mentre il suo pc prende vita. Mi ritrovo in uno di quei tanti lunedì, “I Lunedì di Dante”, li chiamavamo. Il Teatro Argentina organizzava – ogni inizio settimana – una serie di letture del Poeta, i suoi versi recitati dalla voce dei grandi. Erano gli anni Novanta. E dell’iniziativa avevamo saputo dai nostri professori del liceo. Noi non mancavamo mai, tutti ce li siamo sentiti. Eravamo in tre, io, Alessio e Luca. Ogni tanto si univa qualche altro compagno, ma noi eravamo lo zoccolo duro. Con noi, sempre il volume di Dante sul quale studiavamo: gualcito, sottolineato e pieno di annotazioni a margine. Un panino al volo all’uscita di scuola, e poi subito fuori dall’Argentina perché i posti dovevano essere buoni, volevamo i migliori. Tornavamo a casa nel tardo pomeriggio, distrutti ma appagati. Nessun cellulare per avvertire, se andava bene un gettone o la tessera da sotto la metropolitana.

Il giorno del V Canto lo ricordo bene. Non potevamo assolutamente far tardi. Avrebbe letto Vittorio Gassman, nell’aria già la portata di quell’evento. Una fila interminabile che partiva dal negozio dei Tessili, a ridosso dei Fori, per girare ordinatamente attorno agli scavi. Si interrompeva solo perché le rotaie dovevano essere lasciate libere per il transito e la sosta del tram. Finalmente dentro, una piccola grande Eldorado ci attendeva per almeno un’ora.

Mia figlia muove veloce le mani sulla tastiera, attiva la piattaforma che tra un poco le rimanderà – attraverso quadretti regolari – il puzzle dei volti dei suoi compagni. Non saprà, perché sta in Dad, che il Capo dello Stato ha ricordato Dante per la sua coerenza immensa. Un messaggio dalla lunga gittata, oggi che ce n’è così tanto bisogno.

Davanti a noi tre, seduti sulle poltrone dell’Argentina, la voce di Gassman illuminato solo da un faro diretto regalava Paolo e Francesca in musica e poesia. Ancora oggi non saprei dire quanto siano durate quell’enunciazioni, Canto magistrale, lettura ipnotica.

So solo che alla fine, in deroga ai miei comportamenti abituali, mi misi in fila per una firma di Gassman sul testo scolastico che avevo tenuto stretto tra le mani per tutto il tempo. La fila durò molto, perché nessuno – tra colleghi, conoscenti, amici, ammiratori dell’attore – una volta raggiunta la meta lesinava commenti, complimenti, ricordi condivisi e impegni sul poi. Finalmente toccò a me. Ero davanti a Vittorio Gassman, la voce di Dante.

Mia figlia si volta, mi fa cenno che tra poco, se non me ne vado, tutti mi vedranno e questo – devo dedurre – non può essere assolutamente. Devo avere un’espressione inebetita e anche un po’ assente.

Avevo lo sguardo a

ssente anche davanti a Gassman, nella mia testa si confondevano poeta e attore, tanto che non mi uscì neppure una sillaba. Nelle orecchie ancora lo stupore della sua sonorità, mescolata alla meraviglia dei versi di Dante. Dalla bocca nessuna parola, ma dagli occhi cominciarono a sgorgarmi impreviste lacrime ribelli, impossibili da fermare. A quel punto fu lui, Gassman, a farmi segno di avvicinarmi e mi canticchiò un motivetto noto: “Non piangere, non ridere…”. Poi di colpo divenne serio, mi fissò e battendomi la mano sulla spalla mi disse: “Trova il giusto equilibrio”.

E “Trova il giusto equilibrio” è proprio la frase che scrisse sul mio libro di Canti di Dante, che ancora oggi è in bella vista nella libreria della mia casa.

Mia figlia si volta ancora, il brusio di voci della classe sta cominciando a lasciare spazio all’arrivo concreto del professore di turno. Vedo tutti questi volti di liceali nel puzzle di un pc e mi domando dove lei recupererà questo spazio e questo tempo. Lei che a quindici anni sta seduta davanti a un computer mentre io alla stessa età ero davanti a Gassman e Dante. Facevo il quinto ginnasio anche io, quando di lunedì pomeriggio mangiavo un panino al volo per non perdermi i versi del Poeta.

Mi rendo conto di colpo di quanto questa generazione stia venendo privata. La scuola che non c’è si porta dietro non solo le iniziative non comunicate, ma anche quelle che mancano, il teatro che le raccoglie e gli attori che le portano avanti. E poi quel panino rubato all’aperto, la sua qualità neanche troppo elevata ma chisseneimportava, e quelle due ore di aria per l’anima. Che davvero Draghi oggi faccia in modo che le scuole riaprano almeno un giorno prima delle sale bingo. Una preghiera laica, ma non diversa da quella di un altro grandissimo lettore dei versi del Poeta, Roberto Benigni, che in un intervento rimasto memorabile enunciò: “Dante non canta perché Dio c’è, ma perché Dio ci sia”. Un auspicio molto più concreto di quanto possa apparire, che in un giorno ribattezzato Dantedì si porta dietro fiumi di pensieri. E che altro non significa, se non speranza di trovare – o di ritrovare – un equilibrio.

Anni dopo con la prima figlia di Gassman, Paola, ospite di una trasmissione di informazione da me condotta, avrei condiviso il mio ricordo del padre. Con un sorriso che difficilmente dimenticherò mi ha ringraziato per questo momento condiviso, senza sapere invece quanto per me quell’invito e quel pomeriggio rappresentino ancora un viatico di cui serbare memoria e insegnamento.

Mia figlia mi fa un gesto esplicito, il mio tempo nella sua stanza è definitivamente finito. Me ne rendo conto da sola e faccio per andarmene. Ma prima di voltarle, non le dico: “Ciao, buona scuola”, come tutti giorni. Da qualche parte lontana di me esce fuori incontrollato: “Che tu, tutti voi lì dentro, possiate ritrovare il giusto equilibrio”.

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