Economia

Ex Ilva, presidio dei lavoratori al Mise mentre Giorgetti vede i sindacati. I nodi, da Arcelor che non paga l’indotto all’ingresso di Invitalia

Dopo l'ultimatum (durato poche ore) di sabato scorso, Fim, Fiom e Uilm hanno chiesto “un confronto di merito con il governo per porre fine ai continui ricatti della multinazionale” che gestisce lo stabilimento. Intanto il ministro ha spiegato che è necessario attendere un "parere legale" prima che Invitalia proceda al versamento del capitale previsto nell’ex Ilva: “C'è una complicazione che al momento della sottoscrizione del contratto non c'era"

Hanno minacciato di ridurre la produzione e gli investimenti, ma poche ore dopo hanno annunciato la ripartenza di impianti fermi da tempo. È lo strano balletto messo in scena nei giorni scorsi da ArcelorMittal, la multinazionale che gestisce l’ex Ilva di Taranto. Un ultimatum finito in nulla che però ha alzato ulteriormente la tensione tra i lavoratori. Venerdì 26 una rappresentanza di 150 aderenti a Fim, Fiom e Uilm è stata in presidio sotto il ministero dello Sviluppo durante l’incontro in cui il ministro Giancarlo Giorgetti e i leader delle tute blu di Cgil, Cisl e Uil hanno fatto il punto sulla vertenza, dopo che Giorgetti ha spiegato che è necessario attendere un “parere legale” prima che Invitalia entri con 400 milioni nel capitale come annunciato a dicembre.

Sabato in una nota alla stampa Arcelor ha minacciato “una riduzione dei suoi livelli di produzione ed un rallentamento temporaneo dei suoi piani di investimento” incolpando di non rispettare l’accordo del 10 dicembre 2020 che prevede l’impegno dello Stato a sottoscrivere e versare un aumento di capitale da 400 milioni entro il 5 febbraio 2021. La multinazionale dell’acciaio aveva chiarito che “nonostante la natura vincolante dell’Accordo, ad oggi Invitalia non ha ancora sottoscritto e versato la sua quota di capitale e quindi non ha adempiuto agli obblighi previsti dall’Accordo” e aggiunto che il “mancato adempimento sta seriamente compromettendo la sostenibilità e le prospettive dell’azienda e dei suoi dipendenti”.

L’ultimatum, però, è durato pochissimo: a distanza di poche ore, infatti, Arcelor non solo non ha dato seguito alle minacce, ma ai sindacati ha annunciato la ripartenza di diversi impianti come l’altoforno 4, l’acciaieria 2: la riattivazione ha permesso così allo stabilimento di Taranto di tornare a marciare con un assetto composto da 3 altiforni e 2 acciaierie. Fim e Fiom hanno parlato di evidente “schizofrenia di Arcelor Mittal”: per i sindacati non è più rinviabile “un confronto di merito con il governo per porre fine ai continui ricatti della multinazionale”.

E solo qualche giorno prima l’Usb aveva denunciato la disattivazione del badge dei lavoratori dell’Acciaieria1: gli operai, come ogni giorno, erano andati a lavorare, ma a loro insaputa sono stati collocati durante la notte in cassa integrazione e il loro badge disattivato. “Nessuna comunicazione ufficiale di avvio della cassa integrazione, nessuna notizia sul periodo previsto e sulla data di rientro e nessun chiarimento da parte dei responsabili”, ha denunciato l’Usb definendo la vicenda una ulteriore prova della “assoluta strafottenza nella gestione dei rapporti all’interno della fabbrica e della incapacità da parte dei dirigenti di portare avanti la complessa attività nello stabilimento, a partire proprio dalle relazioni personali”.

Sulla vicenda è intervenuto nelle scorse ore Giorgetti che, intervenendo al convegno “Reshape the world” del Sole 24 Ore, ha prova ad abbassare i toni spiegando che è necessario attendere un “parere legale” prima che Invitalia proceda al versamento del capitale previsto nell’ex Ilva. “Invitalia – ha aggiunto Giorgetti – ha intenzione di versare il capitale previsto e, una volta esaurita questa fase di parere legale, penso si possa procedere al versamento. Io e il ministro Franco nella lettera abbiamo cercato di spiegare ad Arcelor Mittal che ci vuole minimo di comprensione e rispetto delle regole. Ma anche su questo mi aspetto che Arcelor Mittal abbia un atteggiamento collaborativo nell’interesse del Paese e nell’interesse della filiera. In questo senso ho elementi di ragionevole fiducia”. Il ministro ha inoltre ricordato come sulla prosecuzione della produzione di acciaio a Taranto penda, oltre a un processo penale, un giudizio amministrativo dinanzi al Consiglio di Stato che dovrà decidere se confermare o meno lo spegnimento degli impianti come ordinato dal Tar di Lecce. “C’è una complicazione che al momento della sottoscrizione del contratto non c’era”, ha spiegato il ministro evidenziando che in attesa della decisione prevista per la metà di maggio sia necessaria per il versamento di 400 milioni “un supplemento di istruttoria per giustificarlo di fronte all’andamento del processo amministrativo”.

E se all’interno della fabbrica torna a serpeggiare preoccupazione tra gli operai, tra i lavoratori dell’indotto la situazione è ai limiti della disperazione. Nel capoluogo ionico si susseguono sit in e proteste sotto la Prefettura: aziende e lavoratori chiedono che Arcelor provveda a saldare le fatture scadute che, solo per le imprese dell’indotto iscritte a Confindustria, ammontano a 35 milioni di euro. Nei giorni scorsi la multinazionale aveva annunciato che avrebbe saldato debiti per oltre 3 milioni di euro: una goccia in un mare nel quale rischiano di annegare numerose imprese e famiglie.