Non c’è solo Tekoşer, il miliziano con in mano il fucile partito per il nord-est siriano per combattere una guerra che i critici hanno definito “non sua”. Non c’è nemmeno solo Orso, il compagno anarchico intriso di ideali di uguaglianza e libertà che ha visto nella causa curda e nel confederalismo democratico un modello da applicare al resto del mondo. C’è anche Lorenzo, classe 1986, fiorentino, che ha svolto molti lavori ma a un certo punto ha sentito l’esigenza di combattere per un ideale più grande, anche di lui. A due anni dalla sua morte sul fronte di Baghuz, nel governatorato di Deir Ezzor, gli scritti, le lettere, le memorie e i post su Facebook di Lorenzo Orsetti nel corso dei 18 mesi in cui è rimasto tra le fila delle Unità di Protezione Popolare (Ypg) curde sono diventati un libro: Orso. Scritti dalla Siria del Nord-Est (Red Star Press, 2021).

Il motivo per cui si è scelto di raccogliere questo materiale e trasformarlo in un libro è proprio far conoscere a tutti chi era Lorenzo, e non solo Tekoşer, come spiegano i familiari che hanno contribuito alla raccolta dei suoi messaggi: “Noi familiari abbiamo ritenuto importante,
per far conoscere Lorenzo, raccontare altro. Ad esempio cosa desiderava e ancora lo emozionava, se malgrado i suoi dolori avesse ancora
voglia di vivere e lottare o se si fosse chiuso in se stesso, se avesse saputo sopportare il dolore, se fosse stato ancora capace di soffrire con gli altri, oppure se avesse cercato di scappare dalla realtà. Lorenzo, malgrado le sconfitte, conservava ancora in sé la speranza e la capacità di amare senza riserve i bambini, le donne e gli uomini che il destino gli metteva accanto. Per quell’amore lui riusciva a sacrificarsi, a rinunciare ai beni materiali; riusciva a vedere la bellezza nascosta dietro gli orrori della guerra e malgrado la presenza quotidiana della morte sapeva apprezzare e godere delle piccole cose della vita”.

E leggendo questo flusso ordinato cronologicamente di pensieri, racconti e battaglie si ritrova la quotidianità della guerra, fatta di pause, momenti di cameratismo, amicizia, esaltazione per le piccole gioie della vita, come la nascita di una nuova cucciolata, continuamente interrotte da un bombardamento, un agguato dello Stato Islamico, un compagno morto o dalla delusione per l’indifferenza delle grandi potenze mondiali coinvolte nel conflitto. Un’indifferenza che è forse la cosa che maggiormente ferisce Orsetti durante la sua permanenza: vedere i corpi martoriati di uomini, donne e bambini durante la campagna turca su Afrin, il suo primo fronte, e l’indifferenza degli alleati Nato per la carneficina nei confronti del popolo curdo che abitava la città di confine tra Siria e Turchia gli provoca un moto di rabbia. Tanto che, a un certo punto, arriva a dire: “Al prossimo Bataclan non verserò una lacrima”. Una reazione forse istintiva, dettata dalla delusione di una mattanza che si poteva impedire, ma che è invece stata ignorata.

Istintiva perché, in realtà, nei suoi racconti Orsetti dimostra un amore quasi istintivo per il prossimo. Non c’è astio nemmeno per i prigionieri di Isis, coloro che fino a pochi minuti prima si sarebbero fatti saltare in aria pur di uccidere lui o i suoi compagni. Ma l’esperienza del Rojava gli ha permesso, e questo emerge con forza, di vedere le due facce della vita: il benessere di chi vive in Europa e la condanna inappellabile delle popolazioni in guerra. “Per me il problema non è ‘se si possa uscire da questa prigione’ – scrive nel suo primo messaggio – ma ‘quanto comodo fa stare in questa prigione’. Nessuno di noi borghesi cognitivi vuole davvero uscirne. Questo è per me il nodo ideologico centrale. In questo senso, l’uso del termine ‘prigione’ coincide con questa mistificazione ideologica. I muri che vedi attorno non sono la nostra prigione, ma quella degli altri”.

Partendo da questo assunto, il racconto delle battaglie, i ricordi delle amicizie strette, il pensiero ai ‘compagni’ a casa e al futuro del Rojava si mescolano, in un clima di costante imprevedibilità e allerta che ha i colori e i sapori della sabbia del nord-est siriano, del sudore e della sporcizia. Che non danno tregua, proprio come gli attacchi del nemico.

Twitter: @GianniRosini

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