A volte sento dire: “Ma a cosa serve il teatro? Che utilità ha nelle nostre giornate?”. Se per teatro intendiamo un puro spettacolo di intrattenimento o un lavoro in cui la forma prende il sopravvento sul contenuto, allora il teatro è semplicemente un modo di passare una serata distensiva. Ma se per teatro intendiamo la possibilità di approfondire la conoscenza di noi stessi attraverso un linguaggio capace di parlare contemporaneamente al nostro cervello e al nostro cuore, allora quella serata diventa voglia di creare un futuro migliore.
La creazione, però, necessita di un primo scalino che è il sogno. Solo sognando un mondo migliore si potrà provare a realizzarlo. Il teatro è sogno e, anche in un periodo come quello attuale, non morirà. Gli uomini possono morire, ma i sogni mai. Sopravvivranno, malgrado tutto.
Immersi in uno spettacolo e nel silenzio di una sala teatrale possiamo sognare idee prodotte da noi e non disegnate da altri che non siamo noi. Progetti di vita che potrebbero anche risultare banali, primitivi, ma che sono nostri. Nel buio della sala possiamo vedere rappresentati i nostri problemi e in quel buio restituire spazio allo spirito. Riflettere su chi siamo noi e le persone con cui ci accompagniamo. Una funzione catartica e in apparenza dolorosa, ma il teatro è verità che muove dalla nostra parte più spirituale e infonde forza e voglia di vita. Anche dopo aver assistito a una tragedia lo spettatore esce come se avesse compiuto un atto di rinascita.
Il teatro è anche comunità, reciproca comprensione tra esseri umani. Dialogo, attraverso un metalinguaggio spirituale, tra platea e palco. Tra opera e spettatore. Si sta insieme e si riflette su milioni di domande: perché siamo su questo pianeta? Che senso dare a questo breve cammino che è la nostra esistenza? E ancora, è meglio fare ciò che è giusto o ciò che conviene? È più utile parlare o tacere? È più giusto lottare per il rispetto dei Diritti o per il rispetto dei Doveri? Domande che non hanno risposte precostituite, ma servono da stimolo a guardarsi dentro con coraggio.
Ecco, il teatro è questo: stare insieme e riflettere senza ricette precostituite. Fare comunità. Anche solo per la sera dello spettacolo, sentire che nessuno è inutile. Tutti serviamo a qualcosa, a cominciare dal mio vicino di poltrona con cui posso scambiare pareri, opinioni sullo spettacolo cui stiamo assistendo. È un arricchimento vicendevole, a volte fatto anche di scontri, ma è pur sempre uno scambio di visioni e realtà soggettive in cui diventa possibile modificare le reciproche certezze. Mutare prospettiva ponendosi domande. Grazie ai drammaturghi, agli attori, ai registi, agli scenografi, ai tecnici, possiamo confrontare idee, punti di vista e capire che la nostra vita è una “misteriosa relazione con tutti e con tutto”.
Il teatro azzera le differenze culturali perché ci porta a comprendere la complessità di un mondo che non è fatto solo di bianco e nero, ma è intriso di sfumature che sono la nostra forza. Il teatro è amore per noi stessi e per gli altri. È vita. E la vita nasce da una relazione con un altro essere. Da soli ci si masturba, il che può anche essere piacevole, ma non crea vita. La vita è: relazioni. È dal rapporto con altre persone che possiamo trarre reciproca energia vitale.
Il teatro è comunicazione che erige ponti e non muri in una fusione di spirito e corpo. Il teatro non è espressione di solipsismo, ostentazione di ego smisurato o merce destinata alla vendita. Di tutto questo possiamo fare decisamente a meno. Il teatro è collaborazione, sinergia tra attori e spettatori, volta a conoscere e a conoscersi meglio. O almeno io, nella vita, ho capito qualcosina di me stesso grazie a grandi artisti che hanno portato sul palco opere che, ponendo al centro l’uomo, cercavano di infondere fiducia, speranza e verità nell’animo degli artisti e degli spettatori.
Il teatro è un vaccino spirituale contro la voglia di cedere dinanzi ai problemi. E a questo spiraglio di luce che penetra nel buio, in cui troppe volte vaghiamo, non possiamo e non vogliamo rinunciare.